L’ex capo dell’Fbi: «L’arresto di Messina Denaro di grande aiuto per gli Usa e tutto l’Occidente»
Un arresto «molto importante» e che «può dare un grande aiuto» nella lotta alla mafia non solo in Italia, ma anche «negli Usa e nell’emisfero occidentale». A parlare della portata anche internazionale della cattura di Matteo Messina Denaro è l’ex direttore dell’Fbi, Louis Freeh, che da giovane procuratore dell’inchiesta sulla “Pizza connection” lavorò con Falcone e Borsellino e che dal 2009 è cittadino italiano e, anche come tale, saluta questo successo: «È il mio paese, sono felice e orgoglioso».
L’ex capo dell’Fbi: «L’arresto di Messina Denaro storicamente significativo come Provenzano e altri boss»
Intervistato da Repubblica, Freeh ha sottolineato il valore simbolico dell’arresto del boss, che è «storicamente significativo come Provenzano e altri boss», ma è soprattutto sui possibili risvolti operativi che si sofferma. Messina Denaro, infatti, «può dare dettagli sull’infrastruttura, identificare la nuova leadership, eventuali contatti nelle agenzie governative o le forze dell’ordine, che potrebbero essere stati coinvolti nel proteggerlo. Spero non sia così, ma è possibile. Può spiegare i rapporti con ‘Ndrangheta e Camorra, e fare luce sulle grandi quantità di droghe e Fentanyl che arrivano in Europa per essere distribuite. Può dare informazioni su molti casi importanti per l’Italia e gli Usa». Per questo per Freeh «farlo cooperare sarebbe più importante che punirlo, perché può fornire prove e identificare soggetti coinvolti in grandi reati che i procuratori non conoscono neppure».
Un accordo? Si sarebbero mossi diversamente…
L’ex direttore dell’Fbi non sembra credere alla tesi dell’accordo: «Non sono in posizione di dare un’opinione, ma è possibile. Sono nelle forze dell’ordine da decenni e ogni cosa è possibile. Però – ha chiarito – se aveva fatto un accordo, probabilmente non avrebbero dovuto portarlo via da una clinica davanti ai media internazionali». Quanto alla lunga latitanza del boss, con le coperture di cui deve aver goduto, che hanno retto nonostante l’incessante lavoro degli uomini dello Stato, «ci ricorda che il lavoro non è finito. C’è ancora una rete e un’infrastruttura di grande potere». Ma, ha aggiunto, «conosco il prefetto e i magistrati coinvolti, seguiranno tutte le piste per portare in tribunale chi lo proteggeva. Trent’ anni fa non avrebbe collaborato, ma le cose possono cambiare, in base alla salute e altre condizioni». Si tratta di una prospettiva che travalica anche i confini nazionali, come travalicava i confini nazionali l’obiettivo della cattura. «Per noi era un top target», ha ricordato Freeh parlando dell’Fbi.
L’importanza dell’arresto di Messina Denaro per «gli Usa e l’emisfero occidentale»
«I colleghi di Roma, ma anche quelli di New York e Washington assegnati alla criminalità organizzata, hanno collaborato strettamente con le autorità italiane. Ogni informazione veniva condivisa subito e senza limiti. Non siamo stati coinvolti nella caccia perché non era nostra giurisdizione, ma in termini di intelligence e supporto operativo tutto è stato fatto. Immagino che il collega di Roma oggi sia a Palermo: ci sono molte informazioni da estrarre, a partire dal nascondiglio», ha spiegato. L’arresto di Messina Denaro, ha aggiunto, è come quello di un criminale nazista: «Pure se ha cent’anni, per la società è importante sapere che non si molla mai». «Garantisce alle vittime dei suoi crimini e a chi coopera con le autorità che un assassino finisce davanti alla giustizia, anche se servono 3, 30 o 50 anni», per questo vale in Italia come negli Usa, ha chiarito Freeh, aggiungendo che c’è anche un aspetto pratico: «Può dare un grande aiuto, in particolare sulle indagini negli Usa e nell’emisfero occidentale. È di grande interesse per le forze dell’ordine».
Freeh: «Non credo ci sarà una rappresaglia della mafia, non è una buona strategia per loro»
«Che reazione si aspetta ora dalla mafia?», ha chiesto quindi Paolo Mastrolilli che firma l’intervista. «Molte persone sono preoccupate per la possibilità che cooperi, dando i nomi di membri coinvolti in crimini contro polizia, procuratori e giudici. Tanti sono nervosi e allarmati. Non credo però alla rappresaglia, perché non c’è né un vero incentivo né possibilità di successo ad attaccare lo Stato. Nel 1993, dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino, si temeva che la mafia sarebbe diventata più aggressiva e distruttiva. In realtà la mafia ottenne l’effetto opposto, perché la gente era arrabbiata. Quella strategia – ha ricordato Freeh – fu una cattiva decisione per la sua sopravvivenza»