L’orgoglio della Meloni: “L’arresto di Messina Denaro è la prova che la mafia si può battere”
«Sono io Matteo Messina Denaro». Sono le 9,30 di lunedì 16 gennaio, quando l’uomo con occhiali scuri e cappellino bianco di lana viene fermato dai carabinieri davanti alla clinica Maddalena di Palermo. Finisce così la trentennale latitanza del boss più ricercato del mondo. Una cattura che fa il giro dei tg e dei giornali anche all’estero. Nessuna soffiata, nessun collaboratore. La cattura del più temuto boss di Cosa Nostra è stato il risultato di una indagine tradizionale «grazie alla determinazione dei carabinieri e al metodo Dalla Chiesa, attraverso la raccolta e l’analisi di un’enorme mole di dati», ci tiene a ribadire il comandante generale dei Carabinieri, generale Teo Luzi.
Ma come sono arrivati gli investigatori a quell’uomo che in realtà era Matteo Messina Denaro? Da circa tre mesi gli inquirenti hanno capito che il boss potesse usare lo pseudonimo di Andrea Bonafede per curarsi dal tumore. Dalle intercettazioni di amici e parenti gli inquirenti hanno avuto la conferma che Messina Denaro era gravemente ammalato, tanto da avere subito due interventi importanti. Un’indagine, fanno sapere gli inquirenti, che potrebbe avere sviluppi importanti. «Faremo il punto sulle indagini e sulle cose che vanno ancora fatte riguardo alla rete di protezione, della logistica e della latitanza di Matteo Messina Denaro».
Meloni vola a Palermo: “Oggi sono felice”
«Al procuratore capo di Palermo e agli investigatori ho detto che l’Italia è fiera di loro, che il risultato è il loro ed è grazie al loro lavoro quotidiano di grande determinazione e dedizione. Possono contare sui provvedimenti del governo per portare insieme questa battaglia contro la mafia»: Giorgia Meloni scandisce le parole con orgoglio, davanti ai cronisti assiepati alla Procura del capoluogo siciliano.
“Il 16 gennaio diventi la giornata della lotta alla mafia”
Meloni è arrivata in mattinata da Roma per complimentarsi personalmente con il procuratore Maurizio De Lucia, dopo l’arresto del superlatitante Matteo Messina Denaro. Meloni ha lanciato quindi l’idea di celebrare il 16 gennaio come giornata da ricordare. «Mi piace immaginare che questo possa essere il giorno nel quale viene celebrato il lavoro degli uomini e delle donne che hanno portato avanti la guerra contro la mafia. Ed è una proposta che farò». Per il premier «è un giorno di festa. Possiamo dire ai nostri figli che la mafia si può battere. Non abbiamo sconfitto la mafia ma questa battaglia era una battaglia fondamentale da vincere ed è un colpo duro per la criminalità organizzata».
Il presidente del Consiglio vuole proteggere questa giornata dalle beghe politiche. Nessuna polemica con quanti avevano lamentato scarsa attenzione al tema della lotta alla criminalità organizzata: «Cosa dico a chi diceva che la mafia nel nostro governo era sparita dall’agenza politica? Non voglio replicare, penso che questa giornata si commenti da sola», ha tagliato corto. L’arresto del boss latitante da 30 anni è la risposta migliore.
«Non penso che la lotta alla mafia possa essere un tema divisivo – prosegue la Meloni – chi tenta di fare della lotta alla mafia un tema divisivo fa un favore, per paradosso, alla criminalità organizzata. È una battaglia che dobbiamo condurre tutti insieme. Posso dire che la politica e lo Stato devono sostenere chi si occupa con il suo lavoro di questo. Spero che su queste materie, piuttosto che usarle per fare polemica, si possa lavorare tutti insieme».
Meloni sull’arresto di Messina Denaro: “Fiera di aver difeso il carcere duro per i mafiosi”
«Sono fiera del fatto – ha quindi ribadito Meloni – che il primo provvedimento del mio governo sia stato difendere il carcere duro (41 Bis, ndr). Perché se oggi, dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, non corriamo rischi di regimi carcerari meno rigidi è perché quell’istituto voluto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è stato difeso dall’esecutivo».
Prima dell’incontro in Procura di Palermo, la Meloni si è voluta fermare per un minuto di raccoglimento proprio davanti alla stele che commemora la strage di Capaci. «Penso fosse doveroso, è un po’ come dire che qualcuno ha raccolto quel testimone e che la guerra va avanti». E in questa guerra, oggi lo Stato ha vinto una battaglia che passerà alla storia.