Pasta italiana, il Tar del Lazio respinge il ricorso dei produttori: obbligo di provenienza e molitura
Il Tar del Lazio respinge il ricorso di alcuni big dell’industria molitoria e della pasta che cercavano di opporsi all’obbligo di indicare in etichetta il Paese di provenienza e quello di molitura del grano imposto, nel 2017, con un decreto del ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali – oggi Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste – e del ministero dello Sviluppo Economico e rinnovato nelle scorse settimane dai ministri del governo Meloni, Francesco Lollobrigida, Adolfo Urso e Orazio Schillaci.
Il provvedimento teso, da una parte, a tutelare i consumatori rendendoli consapevoli della provenienza del cibo che acquistano e, dall’altra, indirizzato a proteggere e valorizzare il Made in Italy di fronte alle politiche commerciali aggressive che pretendono di utilizzare grani di provenienza estera piuttosto che italiani per questioni prevalentemente economiche, è stato a lungo richiesto da Coldiretti e osteggiato con forza da buona parte dell’industria alimentare. Che, appunto, ha fatto ricorso al Tar del Lazio ed è stata respinta. A difendere e rappresentare il ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e il ministero dello Sviluppo Economico c’era l’avvocatura dello Stato.
La cosa curiosa è che fra i marchi storici che combattono, attraverso le carte bollate, l’obbligo di indicare in etichetta il paese di provenienza del grano e quello della molitura ci sono nomi molto noti. E che, magari, spendono fortune in pubblicità e marketing non solo per certificare al consumatore la bontà dei propri prodotti ma, anche, per promuovere un‘immagine quanto più aderente ai valori di una certa tradizione italiana del cibo.
Scorrendo l’elenco delle aziende che hanno ingaggiato fior di avvocati per convincere il Tar che era giusto non mettere in etichetta paese di provenienza e di molitura del grano non si può non pensare alle martellanti campagne pubblicitarie che scorrono sugli schermi delle tv.
Due le sentenze che rigettano altrettanti ricorsi presentati, fra l’altro, da realtà industriali come De Cecco, Barilla, La Molisana, Divella, Rummo, Garofalo, Colussi, Felicetti, Granarolo oltre a 13 Mulini molto noti, tutti costretti ora dai magistrati amministrativi a pagare le spese di giudizio.
Esulta Coldiretti. “E’ salva – plaude – l’etichetta di origine che obbliga ad indicare sulla pasta la provenienza nazionale o straniera del grano impiegato come chiede il 96% dei consumatori al fine di “garantire un’informazione completa e trasparente, funzionale a consentire una scelta libera e consapevole”.
Il decreto interministeriale, ricorda la Coldiretti, proroga fino al 31 dicembre 2023 i regimi sperimentali dell’indicazione di origine come fortemente richiesto dall’Associazione degli agricoltori.
Il decreto prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia debbano indicare il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e quello di molitura.
Se proviene o è stato molito in più paesi possono essere utilizzate, a seconda dei casi, le seguenti diciture: paesi Ue, paesi Non Ue, paesi Ue e Non Ue..
Inoltre, se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si può usare la dicitura: “Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue.
Una misura che ha spinto tutte le principali industrie agroalimentari a promuovere oggi delle linee produttive con l’utilizzo di cereale interamente prodotto sul territorio nazionale. Per acquistare la vera pasta Made in Italy 100% basta scegliere le confezioni che riportano le indicazioni “Paese di coltivazione del grano: Italia” e “Paese di molitura: Italia”.