Silvio D’Amico, il maestro che “allevò” i grandi mattatori del teatro italiano
Vittorio Gassmann, Monica Vitti, Rossella Falck, Anna Magnani, Paolo Stoppa, Tino Buazzelli, Nino Manfredi, Paolo Panelli. Sono solo alcuni dei grandi nomi che hanno segnato passaggi significativi nel mondo del Cinema e dello spettacolo nazionali. Interpreti collegati da una matrice di formazione professionale comune. Artefice, di questa schiera di eletti da palcoscenico, fu un docente che con lungimiranza li scelse per farli entrare nell’Accademia da lui diretta. Stiamo parlando di Silvio D’Amico. Questi elementi di presentazione, già sarebbero sufficienti a collocare la sua figura nella Storia del Teatro nazionale. Infatti, considerando il suo lavoro complessivamente sia come critico che come docente la sua figura rimane centrale. Basti considerare che l’autorevolezza che gli veniva da tutti riconosciuta, comportò il fatto che il 1° aprile1955 giorno della sua dipartita, in segno di ossequio tutti i Teatri rimasero chiusi.
Silvio d’Amico e la “rivoluzione” del teatro
Nato a Roma il 3 febbraio 1887, da una famiglia di origini abruzzesi, dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza, dedicò subito l’attenzione al Teatro. Venticinquenne, curò la critica Teatrale del quotidiano L’Idea Nazionale. Giornale del quale, poco tempo dopo causa decesso del precedente direttore, fu scelto per subentrarvi nelle mansioni. Cominciò quindi il suo itinerario nella realtà delle problematiche e delle dinamiche, inerenti alla vita dei nostri palcoscenici. Occasione che gli si presentò, quando ebbe l’opportunità di assumere l’incarico di docente di Storia del Teatro presso la Regia scuola di recitazione Eleonora Duse. Con occhio del docente attento alla formazione delle future generazioni, dava lettura organica del sistema teatrale del momento. La nascita e l’esistenza stessa delle Compagnie teatrali dell’epoca, ruotavano attorno al Capocomico. Questa figura, era ancora presente e in maniera preponderante nella vita delle Compagnie. Per cominciare sceglieva il repertorio da mettere in scena. Scelta, che veniva effettuata alla luce della valutazione dei testi che potenzialmente avrebbero potuto valorizzare al meglio le doti istrioniche del Capocomico.
Il rinnovamento a partire dalla regia
Su questi presupposti il Teatro dell’epoca era rimasto statico, invecchiando su stilemi interpretativi obsoleti retorici e esteriori. Per dare delle coordinate ulteriori sulla personalità di D’Amico, era cattolico seguendone vari orientamenti quale in gioventù quella “modernista”. La generazione degli intellettuali alla quale apparteneva, non credeva più alle correnti di pensiero neopositiviste, che individuavano nel raggiungimento dei traguardi tecnici o scientifici il benessere progressivo dell’umanità. Guardavano con più favore le correnti di pensiero di Nuovo Idealismo di Giovanni Gentile e Benedetto Croce. D’Amico, al corrente delle forti innovazioni che si stavano realizzando nei palcoscenici europei, individuò nella figura del regista, l’elemento chiave per tenere al passo coi tempi le nostre messe in scena. Ne teorizzo, con ragione la necessità. Scelta che si rivelò essere strategicamente giusta per ossigenare di nuova linfa creativa il Teatro. Cosa resa urgente e necessaria, tra l’altro, dal graduale affermarsi del Cinema.
La polemica con Ermete Zacconi
Genere, che come evidenziavano i dati dei botteghini, costituiva un formidabile competitore. Articolata la catena di comando degli allestimenti, con l’occhio esterno del regista, l’anelito al ringiovanimento e innovamento era reso possibile. Con l’affermazione del regista quale elemento costitutivo del fare Teatro, si andava a operare su tutti i comparti dello spettacolo. Prendendo in esame le scenografie, che ora potevano essere sintonizzate su registri creativi più incisivi e credibili, che non quei fondali approssimativamente pitturati o con poco credibili strutture di cartapesta allora ancora in voga. Il critico teatrale auspicando la valorizzazione del “Teatro di regia”, aveva individuato un ottimo grimaldello per far saltare gli obsoleti equilibri delle compagini dell’epoca. Nel mirino, c’erano ovviamente i “mattatori” dell’epoca Ermete Zacconi ad esempio. Con tutta la ridondanza degli stilemi recitativi dell’ottocento. “Gigionate”, che nel novecento, secolo ispirato da trasformazioni e fortissime innovazioni anche in questo settore basti pensare al Teatro Futurista non potevano più appassionarsi a recitazioni passatiste di quella fatta.
Mussolini affidò a Silvio d’Amico il ruolo di Commissario straordinario
A tale proposito D’Amico nella sua veste di critico non ebbe certo timori riverenziali nell’ingaggiare una sulfurea polemica con Zacconi. Una aspra polemica giornalistica tra il critico e Zacconi che difendendo “Il Grande Attore” l’aveva aperta. Il 1935 segna l’anno nel quale viene riconosciuta la competenza di D’Amico a livello istituzionale. Gli viene affidato infatti dal Governo dell’epoca presieduto da Benito Mussolini l’incarico di Commissario straordinario per la riforma della scuola di recitazione di Roma. Istituto che andrà a sostituire la datata Regia scuola Eleonora Duse. La nuova Istituzione da lui diretta riuscì a selezionare e formare con grande successo generazioni d’interpreti. Altra grande intuizione fu quella di coinvolgere come docente alla cattedra di Regia un maestro come Orazio Costa.
Critico e docente
In Silvio D’Amico, si coglievano gli aspetti poliedrici del suo agire, che spaziavano da quello del critico militante a quello del docente a quello dello studioso vero e proprio. Preziosa testimonianza è data, tra le altre, dalla imponente pubblicazione in 11 volumi dell’Enciclopedia dello spettacolo. Nel novembre 1945, quando ancora i nuovi assetti istituzionali erano in itinere, il referendum monarchia-repubblica si sarebbe tenuto l’anno seguente, D’Amico cogliendo l’occasione del decennale della fondazione dell’Accademia d’arte drammatica indisse una grande riunione che passò alla storia come “Stati generali del Teatro”. L’iniziativa aveva come scopo quello di coinvolgere in maniera costante lo Stato e le sue strutture a favore dell’attività teatrale. Punto di passaggio cruciale per poter arrivare a un Teatro d’Arte. Era stato gettato il seme per un nuovo fecondo rapporto tra Stato e Teatro. Anche in questa visione di prospettiva il direttore dell’Accademia confermò le sue non comuni capacità. Silvio D’Amico s’è sempre posta alla ribalta delle analisi e soluzioni delle questioni teatrali. Ogni sua iniziativa, come per tutti i veri protagonisti, era salutato da quello che in gergo teatrale viene definito “l’applauso di sortita”.