1978 – Roma
1978
Via Zara, 27 – 00198 Roma
Tel. 06/69335743
Sito Internet: www.ristorante1978.it
Tipologia: tradizionale con spunti creativi
Prezzi: menù degustazione: “attimi” di 10 portate a 130€, opzione pranzo di 3 portate a 45€, piatti unici 30/45€, dolci 16/18€
Chiusura: Domenica sera, Lunedì, Martedì; Mercoledi a pranzo
OFFERTA
Voglia di stupire e provocare a tutti i costi sono i tratti stilistici, probabilmente frutto anche della giovane età, della cucina di Valerio Braschi che, gli va dato atto, dall’esperienza di Masterchef è riuscito concretamente ad approdare nel porto dell’alta ristorazione, ivi inclusi i riconoscimenti della critica e i prezzi da stellato dovuti anche e, diremo soprattutto, alla notorietà mediatica. Ciò considerato e annotati comunque con piacere dei progressi rispetto all’esperienza non proprio esaltante dell’anno passato, dobbiamo tuttavia sottolineare come l’impressione complessiva sia stata quella di una cucina più cerebrale che realmente godibile, che si può per certi versi sintetizzare con la frase “molto interessante, ma non so se ci tornerei!”. Tecnica, fantasia e conoscenza dei prodotti indubbiamente ci sono, il ragazzo ha stoffa e, al netto di esotismi e velleitarismi, siamo certi che con l’ulteriore maturazione approderà anche al porto dell’autentico piacere del palato. Dopo alcuni appetizer, a dire il vero dimenticabili, abbiamo iniziato con il “mango sticky rice”, intelligente e azzeccata rivisitazione del dolce thailandese, qui trasformato in antipasto dalle note dolci, sapide e piccanti. A seguire il cefalo con arancia e tosatzu, piatto di suggestioni nipponiche con il crudo di pesce avvolto in una specie di gelatina degli altri ingredienti. Si prosegue con l’agnello in cassetta glassato alla mela, in cui quest’ultima ha donato alla carne una riuscita dolcezza. Semplice ma convincente il piatto “cipolla, olio, yogurt”, caratterizzato da un bell’equilibrio tra le diverse componenti, acida, grassa e amarognola. Meno riuscita la zuppa di ispirazione sempre nipponica “soba, calamaro, caviale e aneto” a dire il vero leggermente insipida. Più intenso il risotto con lumache e basilico, mentre con il “ragù della nonna Elsa” Valerio propone un piatto tradizionale della memoria dedicato alla nonna, da godere rigorosamente facendo la scarpetta con una fetta di pane casareccio. Ci ha convinto di meno invece il cinghiale, ostriche e cacciatora, in cui la moda purtroppo imperante del crudo a tutti i costi viene applicata ad una carne dai forti sentori di selvatico, e francamente è una provocazione di cui non sentivamo la mancanza. Si chiude con dessert a dir poco originali, a partire da “errore perfetto”, sfera di cioccolato bianco con all’ interno un gelato semi sciolto al pepe sansho guarnito con bottarga di muggine, un dolce-non dolce spiazzante, e con il “nichibotsu”, altro piatto singolare e destrutturato a base, tra gli altri ingredienti, di gelato ai porcini e salsa di pompelmo arrostito. Chiusura non esaltante con piccola pasticceria e caffè con la moka, entrambi dimenticabili al pari degli appetizer.
AMBIENTE
Il punto di forza è sicuramente l’appariscente, elegante e per certi versi inquietante porta rossa, lucida e con la maniglia d’oro, che sembra alludere a chissà quali segreti si possano trovare varcandone la soglia. Entrando, invece, si accede a una sala con tavoli di legno e sedute comode, mattoni e cucina a vista.
SERVIZIO
Cortese ma autocompiaciuto.
Recensione a cura di: Roma de La Pecora Nera – ed. 2023 – www.lapecoranera.net