Foibe, Mattarella: «La furia dei partigiani titini si accanì su tutti. La verità non deve fare paura»
Nulla consente di «sminuire, negare o addirittura giustificare i crimini» subiti dagli italiani del confine orientale, quando «la furia dei partigiani titini si accanì, in modo indiscriminato ma programmato, su tutti». Nel suo discorso al Quirinale, in occasione del Giorno del Ricordo, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha lanciato un duro monito contro chi, negli anni e ancora oggi, ha voluto nascondere la verità sulle foibe e sull’esodo, lodando invece lo sforzo di chi, attraverso la ricerca storica, ha restituito quelle pagine alla storia nazionale ed europea. «Nessuno deve avere paura della verità. La verità rende liberi», ha detto il Capo dello Stato.
Il capo dello Stato: «Nulla può mettere in ombra le sofferenze patite dagli italiani»
«Le dittature, tutte le dittature, falsano la storia, manipolando la memoria, nel tentativo di imporre la verità di Stato. La nostra Repubblica trova nella verità e nella libertà i suoi fondamenti e non ha avuto timore di scavare anche nella storia italiana per riconoscere omissioni, errori o colpe», ha proseguito il presidente della Repubblica nel corso della cerimonia, sottolineando che «la complessità delle vicende che si svolsero, in quei terribili anni, in quei territori di confine, la politica brutalmente antislava perseguita dal regime fascista, sono eventi storici che nessuno oggi può mettere in discussione. Va altresì detto, con fermezza – ha aggiunto – che è singolare, è incomprensibile, che questi aspetti innegabili possano mettere in ombra le dure sofferenze patite da tanti italiani. O, ancor peggio, essere invocati per sminuire, negare o addirittura giustificare i crimini da loro subiti».
Mattarella: «La furia dei partigiani titini si accanì contro tutti»
«Per molte vittime, giustiziate, infoibate o morte di stenti nei campi di prigionia comunisti, l’unica colpa fu semplicemente quella di essere italiani», ha detto ancora Mattarella, parlando, oltre che delle foibe, anche dell’«epurazione attraverso l’esodo di massa». «Un carico di sofferenza, di dolore e di sangue», che per molti anni è stato «rimosso dalla memoria collettiva e, in certi casi, persino negato». Una “congiura del silenzio”, come è stata spesso definita, che è stata sventata grazie ai «risultati notevoli» conseguiti negli ultimi decenni dalla ricerca storica, che ha fatto emergere «una mole impressionante di fatti, documenti e testimonianze inoppugnabili» e con essi «i nomi e le vicende delle vittime». «La furia dei partigiani titini si accanì, in modo indiscriminato ma programmato, su tutti: su rappresentanti delle istituzioni, su militari, su civili inermi, su sacerdoti, su intellettuali, su donne, su partigiani ed esponenti antifascisti, che non assecondavano le mire espansionistiche di Tito o non si sottomettevano al regime comunista», ha sottolineato il presidente della Repubblica.
Un «piano preordinato» dietro le violenze anti-italiane
«Le violenze anti-italiane, nella maggior parte dei casi, non furono episodi di, inammissibile, vendetta sommaria. Rispondevano piuttosto a un piano preordinato di espulsione della presenza italiana». «Figure luminose, in quella terra martoriata, come il vescovo di Fiume e poi di Trieste/Capodistria, Antonio Santin, non esitarono, dopo aver difeso la popolazione slava dall’ oppressione nazifascista, a denunciare, con altrettanta forza d’animo, la violenza e la brutalità dei nuovi occupanti contro gli italiani», ha proseguito Mattarella, sottolineando che «siamo oggi qui, al Quirinale, per rendere onore a quelle vittime e, con loro, a tutte le vittime innocenti dei conflitti etnici e ideologici. Per restituire dignità e rispetto alle sofferenze di tanti nostri concittadini». «Sofferenze – ha rimarcato il presidente della Repubblica – acuite dall’indifferenza avvertita da molti dei trecentocinquantamila italiani dell’esodo, in fuga dalle loro case, che non sempre trovarono solidarietà e adeguato rispetto nella loro madrepatria».
Dagli esuli che rifiutarono di sottomettersi alla «dittatura comunista» una «scelta di libertà»
«Furono sovente ignorati, guardati con sospetto, posti in campi poco dignitosi. Tra la soggezione alla dittatura comunista e il destino, amaro, dell’esilio, della perdita della casa, delle proprie radici, delle attività economiche, questi italiani – ha sottolineato il Capo dello Stato – compirono la scelta giusta. La scelta della libertà. Ma nelle difficoltà dell’immediato dopoguerra e nel clima della guerra fredda e dello scontro ideologico, che in Italia contrapponeva fautori dell’Occidente e sostenitori dello stalinismo, non furono compresi e incontrarono ostacoli ingiustificabili».
La «condanna» di Mattarella per «inammissibili tentativi di negazionismo e giustificazionismo»
Quelle sofferenze «non possono essere motivo di divisione nella nostra comunità nazionale ma, al contrario, richiamo di unità nel ricordo, nella solidarietà, nel sostegno», ha detto Mattarella, avvertendo che «la lezione della storia ci insegna a non ripetere errori e a non far rivivere tragedie, men che mai a utilizzarle come strumento di lotta politica contingente». «Ribadendo la condanna per inammissibili tentativi di negazionismo e di giustificazionismo, segnalo che il rischio più grave di fronte alle tragedie dell’umanità non è il confronto di idee, anche tra quelle estreme, ma l’indifferenza che genera rimozione e oblio», è stato il monito di Mattarella, parlando di foibe ed esodo.