Il “de profundis” di Bertinotti: “Il Pd è morto: dovrebbe sciogliersi. La Meloni ha archiviato il dopoguerra”
È impietoso il giudizio che il vecchio leader della sinistra, Fausto Bertinotti, dà dell’attuale sinistra e in particolar modo del Pd, al quale consiglia l’autoscioglimento. “Il Pd è un corpo privo di vita, e lo si vede più che per altri. Impropriamente, è stata attribuita a quel partito l’eredità di una grande storia, mentre al contrario, fin dalla definizione del nome, ha consumato una rottura con le battaglie operaie. E questa rottura non l’hanno mai rielaborata”, dice in una lunga intervista alla Verità. Bertinotti, molto critico sull’atteggiamento dell’Europa sulla guerra in Ucraina, lo è ancor di più con la sua parte politica. A cominciare dalle lotte per i diritti civili e ambientali. “Mi faccia l’esempio di una lotta condotta in Italia dalle forze del centrosinistra in favore di un diritto della persona: non hanno portato a casa nulla. Perché sono timidi, incerti, non sono mica Pannella. La massima secondo cui, abbandonata la lotta di classe, i comunisti sarebbero diventati un partito radicale di massa è fallita. Oggi il centrosinistra non è radicale: e men che meno di massa, visto che corrono il rischio di sparire”. Di Giorgia Meloni Bertinotti ha ricordo giovanile, apprezza la sua passione, anche se oggi sarebbe stata una sua avversaria: “Vederla al governo è la dimostrazione che il dopoguerra è stato archiviato”.
Bertinotti e il Pd che ha sbagliato tutto
L’ex leader di Rifondazione comunista non digerisce le scelte passate del Pd, soprattutto quelle che lo hanno “condannato”, si fa per dire, a stare sempre al governo. “Questa è la vera prigione in cui si è rinchiuso il Pd: la prigione del governo. Sono propensi a sostituire qualunque idea, pur di fare ingresso al governo. E non a caso negli ultimi anni sono entrati in qualsiasi governo. Tutto ciò che resta di democratico nel Pd è questo: il voto elettorale, nella speranza di governare. E il futuro? La scissione? Bertinotti si augura di no, e lui se ne intende. “La scissione è quella che negli anni Venti vide nascere il Partito comunista italiano, e poi quella di Saragat a Palazzo Barberini, e poi quella dello Psiup, e poi quella seguita allo scioglimento del Pci. La scissione rompe amicizie, spezza unità familiari, provoca rotture che segnano vite. Insomma, per fare una scissione serve una ragione forte. Ma oggi come si fa a scindere una cosa che non esiste?”, si chiede Bertinotti.
Il futuro dei Democratici? La rifondazione…
“Purtroppo il Pd rischia un lungo declino fino all’irrilevanza totale. Invece sarebbe stata un’operazione coraggiosissima quella dell’autoscioglimento. Io l’avrei dichiarato più meno così: ‘Noi siamo politicamente insignificanti nel Paese, ma sciogliendoci rimettiamo in circolo la passione politica delle persone perbene. Per una vera rifondazione, una necessità, visto che la sinistra è uscita sconfitta dal Novecento. Io la vedo come una rinascita. Per rinascere, però, devi prima renderti conto che sei morto”. Durissimo anche il giudizio sui leader emergenti del Pd, Bonaccini e Schlein. “Ho un’antica propensione a evitare le valutazioni sui nomi. Questi però mi dicono pochissimo. Per giunta sono in continuità con il passato. Non esiste in Italia un vero elemento di rinascita: per essere tale, deve necessariamente muoversi fuori dai vecchi binari. Melenchon in Francia non è una costola del partito socialista. Podemos nasce dagli indignados che si muovono fuori e contro i partiti esistenti. La lezione europea è questa: la nuova sinistra non può nascere in continuità con la vecchia…”, conclude Bertinotti alla Verità.