Il predicozzo di Concita De Gregorio sul busto del Duce e sui padri fascisti da rinnegare: una pacata risposta
E dunque anche oggi ci tocca il predicozzo. E’ il turno di Concita De Gregorio. Tema: il busto del Duce. Che fare se il papà te lo lascia in eredità? Lei pontifica, elargendo micro-bacchettate pedagogiche a Ignazio La Russa e, a cascata, a tutti i figli dei fascisti. Non lo vuoi buttare? Nascondilo in cantina. Non lo vuoi vedere tra la spazzatura? Tiragli le freccette. Vestilo da Babbo Natale. Rendi utile quel coso ingombrante che poi sarebbe il lascito dei padri. Una cosa enorme, importante. Non è che arrivano gli psico-articoli di Concita e la faccenda si chiude e si supera. E no.
E poi lei è così sprezzante, fin dall’attacco del pezzo (apparso oggi su Repubblica): “Per fortuna mio padre non mi ha lasciato in dote un busto di Benito Mussolini, pensavo ascoltando la straziante storia del figlio che non può certo buttare nell’indifferenziata quell’oggetto passato di mano in mano come eredità familiare. Per fortuna non mi ha lasciato bombe a mano in cantina né imbarazzanti vestigia di reati ma solo vecchi manuali di procedura penale…”. Capito? Era magistrato il suo papà. Eredità stimata e rispettata la sua, mica come la nostra di figli di fascisti da disprezzare. E che si fa per cercare di mettersi al pari con la progenie dorata alla Concita, di quelli che a Natale invece della recita su Gesù che nasce declamavano alla tavolata dei parenti riuniti gli articoli della Costituzione? Si sputa sui padri. Che bella cosa, che nobile cosa.
Invece no, è una cosa che fa schifo. Penso per esempio a mio padre, cresciuto nel culto del Duce che lo aveva mandato alle colonie e poi fin da subito iscritto al Msi. Straconvinto che gli italiani non lo meritassero, il Duce. Fino alla sua morte è stato un italiano integerrimo. Pagava le tasse e faceva l’elemosina. Non ha lasciato in cantina tracce di reati. Mi dovrebbe imbarazzare il suo ricordo? Ha lasciato, certo, un’eredità pesante. Ma non è solo la mia, cara Concita. E’ un’eredità che pesa sull’Italia. Su tutta l’Italia. E la storia, la storia collettiva, non si mette nell’indifferenziata. Se non lo hai capito, nonostante i manuali del tuo rispettabilissimo padre, è un problema tuo.
Pierluigi Battista, ad esempio, sul padre fascista scrisse un bel libro. Lo scrisse per restituire il padre, di cui non condivise le idee, al pantheon degli italiani per bene. Perché non esistono i padri fascisti, esistono i padri e basta. La sintesi è di Giampiero Mughini e dice tutto. Dice molto di più dell’articolessa di Concita. “La puoi respingere, l’eredità – scrive lei – Rifiutare di accollarti i debiti materiali o morali, dimenticare la stirpe, ribellarti alla ripetizione di un destino segnato – puoi per esempio essere un sovversivo da figlio di democristiani. Farti prete da figlio di eretici – ma arriva un momento nella vita, arriva sempre, in cui la storia delle tue radici presenta il suo conto“. E conclude: “Quel che dell’eredità abbiamo fatto e facciamo, ecco. Quello siamo noi“.
Una volta Giano Accame disse in un convegno: pensiamo all’America, non è che lì dopo la guerra di secessione sudisti e nordisti ancora si rinfacciano le colpe dei padri, ancora fanno la conta dei buoni e dei cattivi. I missini della prima ora chiamavano questo obiettivo “pacificazione”. Gianfranco Fini a Fiuggi parlò di fine dello schema amico-nemico: esistono solo avversari. Ignazio La Russa nel convegno su Tatarella di due giorni fa ha detto: la tappa finale della destra di governo dovrà essere la fine degli odi del dopoguerra. Ci si può provare. Ci si deve provare. Ma non col vostro ditino puntato per un eterno processo ai padri. I padri lasciateli stare. Se no anche i figli più buoni, più ragionevoli, più educati, alla fine s’incazzano.