L’ottimismo è la sfida del domani, strumento utile a squarciare vecchie e nuove gabbie

20 Feb 2023 12:15 - di Mario Bozzi Sentieri

Sull’ultimo numero de “Il Primato Nazionale” Adriano Scianca riporta alla ribalta  un termine  che appartiene ai temi “storici” del lessico filosofico-politico: l’ottimismo. Di  “ottimismo” e “pessimismo”  è segnato il pensiero occidentale, che ne fece oggetto di grandi dispute all’inizio del XIX secolo.  Tra alti e bassi, tra rigidità ideologiche e cambi di campo. A destra e a sinistra.

Secondo Roger Scruton  (Del buon uso del pessimismo – e il pericolo della falsa speranza, 2011) responsabili degli orrori del ‘900  sono stati gli idealisti e gli utopisti di destra e di sinistra, che, ignorando la natura umana, hanno immaginato  un futuro inevitabilmente radioso e  hanno creduto  nel ritorno a un felice stato di natura (che non è mai esistito), considerando l’utopia una forza positiva della storia.

Questi “ottimisti senza scrupoli” – parole di Scruton –  hanno in comune il desiderio di imporre, spesso con la violenza, la propria visione del mondo basata su false speranze di palingenesi illusorie: è il caso dei giacobini francesi, dei rivoluzionari russi, dei nazisti, dei comunisti, dei terroristi islamici e, in una dimensione meno tragica ma altrettanto “distruttiva”, dei burocrati dell’Unione Europea, degli economisti, dei sociologi, dei politologi e dei vari esperti votati al benessere e al miglioramento dell’umanità.

Con questo “retroterra” non ci resta che tirare i remi in barca, assecondando depressioni, paure e “diserzioni” politico-ideali ? Al contrario. Scianca fa bene  a  denunciare  l’odierna  “trasversalità”  della spirale ansiogena e depressiva, nella misura in cui sembra vincere la “cappa”, titolo di un recente libro di Marcello Veneziani, segno di una oppressione incombente, che – scrive Veneziani – “ci prende al petto e non sai dire se risale dai polmoni, dal cuore, o se scende dalla mente al cuore, al petto, fino a chiudere la bocca dello stomaco. Incombe sul mondo, non solo su di noi”.

In realtà – condivido l’analisi di Scianca – pare maturo il tempo per una sana inversione di tendenza, nel segno di un appassionato  intervento sul reale, con lo sguardo rivolto ad un futuro ancora aperto. Sia chiaro: nessuno spazio per un ottimismo “inteso come credenza che le cose vadano necessariamente bene” e alla stessa maniera per un pessimismo “inteso come credenza che le cose vadano necessariamente male”.

Questo mondo dà poco spazio alla speranza, ma  proprio per questo nulla impedisce di “ripensarsi” rivoluzionariamente,  in ragione di una lotta per il domani  che va ritrovata nelle sue ragioni più profonde. Non è – sia chiaro –  questione legata al “termometro politico”. Non è qualche percentuale elettorale in salita a spianare il campo. Il tema è oggettivamente più complicato.

L’ottimismo è la sfida della Vita: una contraddizione apparente per chi ideologicamente è pessimista, ma che – come notava un inguaribile “scettico”, Giuseppe Prezzolini – fa parte della natura umana, dell’attaccamento all’esistenza.

Scianca parla di capacità di sapere pensare non solo un mondo migliore, ma di incarnarlo esistenzialmente. Ritrovare l’attaccamento all’esistenza – evocato da Prezzolini – è il primo passo. Per questo ci vuole una nuova volontà ideale ed esempi quotidiani in cui riconoscersi. Impresa non facile, ma essenziale per  ribaltare la condizione data, la quale va giocata su più piani. Certamente il piano  culturale, delle “visioni” in grado di “plasmare” l’oggi ed il domani, di dare risposte e creare aspettative. Di “emozionare”, di farsi Poesia. Anche la politica può svolgere il suo ruolo, a patto che sia consapevole della sfida antropologica, facendosi carico di una ricostruzione sociale ineludibile. Ma è nella lotta quotidiana, ravvivata da una ritrovata  centralità del Sacro, che l’ottimismo può essere “reinventato”, perfino al di là delle storiche appartenenze ideologiche che portavano il pensiero conservatore a respingere  l’ottimistica fede nel progresso in ragione dell’ ineliminabile imperfezione umana,  senza nulla concedere però alle vecchie utopie di marxiana memoria, di un mondo di liberi e di uguali.

E’ nei segni e nelle sfide , da ritrovare e rivendicare, della Vita  che l’ottimismo del domani può trovare nuove ragioni: nello sguardo di una madre verso i suoi figli, in un rinnovato  fervore giovanile, nel senso di appartenenza ad una comunità, ai suoi riti alle sue memorie, in un lavoro riconsacrato alla sua dignità spirituale. In sintesi nell’aspettativa/costruzione di un Ordine e della finalità positiva della realtà nel suo complesso, ché – come scriveva Aristotele, antesignano di questa “visione” – “nel mondo, come in una casa ben ordinata, tutte le cose contribuiscono armonicamente all’ordine totale”.

L’augurio è che l’invito di Scianca susciti ulteriori interventi. Nel segno dell’intelligenza e della volontà, per dirla con Jacob Burckhardt, artefice dell’espressione, poi modificata e fatta propria da Antonio Gramsci: “pessimismo dell’intelligenza e della filosofia e ottimismo della volontà e del temperamento”. Su questi crinali si può giocare una partita storica, in grado di squarciare vecchie e nuove “cappe”, rilanciando una sfida realisticamente “ricostruttiva”. Facendo ciascuno la propria parte.

 

 

 

 

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *