Michael Jordan compie 60 anni, i tre grandi capitoli della sua carriera iconica

15 Feb 2023 13:44 - di Italpress

“Penso sia Dio travestito da Michael Jordan”. In queste parole pronunciate da Larry Bird dopo gara-2 della serie di playoffs tra Celtics e Bulls del 1986, in cui ‘His Airness’ mise a referto 63 punti al Boston Garden, c’è tutta l’essenza di ciò che è stato quel Michael Jeffrey Jordan che il 17 febbraio spegne 60 candeline. In queste settimane in cui LeBron James è diventato il miglior realizzatore della storia dell’Nba si continuano a sprecare le comparazioni tra i due, ma la verità è che nello sport c’è un prima e un dopo Jordan. Un atleta che può vantare un titolo collegiale a North Carolina, i sei con i Bulls, due ori olimpici e un numero di record individuali di cui velocemente si farebbe fatica a tenere il conto. Ma ancor di più una figura che trascende il campo da gioco, in grado di diventare iconica anche al di fuori del contesto sportivo, dalle prime pubblicità all’essere protagonista ad Hollywood, fino al suo logo che vediamo ovunque camminando per strada. Di fatto la sua carriera si può dividere in tre grandi capitoli ed un epilogo se vogliamo anche un po’ irrilevante ai fini della narrazione. Le prime sei frustranti stagioni Nba, in cui nonostante l’alto livello di prestazioni già raggiunto non riesce a trascinare i suoi verso il successo nell’Est dei Celtics di Bird e dei Pistons dei Bad Boys.

Poi dal ’90-’91 arrivano i tre titoli consecutivi che aprono la dinastia. Per i successivi tre bisognerà attendere, dato che non sono certo mancati i momenti complicati e anche controversi, dal ritiro annunciato il 6 ottobre ’93 dopo l’assassinio del padre alla decisione di provarci con il baseball con risultati modesti.
Il 18 marzo ’95 è il giorno del famoso comunicato, di poche parole ma d’impatto: “I’m back”. Un finale di stagione per rimettersi in forma e da quella successiva si apre il secondo ciclo di vittorie che non può che concludersi con un finale da film. Lingua fuori e retina che non si muove sul suo tiro dalla media distanza: ecco come nasce “The Last shot”, il tiro che in gara-6 delle finali ’98 a Salt Lake City regala il sesto titolo a lui e ai Bulls contro gli Jazz. Quel che viene dopo, dal secondo ritiro e successivo ritorno con la maglia degli Wizards per il cameo finale, ai risultati poco memorabili da proprietario degli Hornets rappresentano cronaca ma in alcun modo intaccano quel che il figlio dell’impiegata di banca Doloris e del meccanico James R. ha rappresentato per l’Nba, la pallacanestro e lo sport.

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