Bologna: la “rinuncia” di Lepore ai patrioti fa danni alla Resistenza, ma fa bene alla storia
Ha ragione il politologo Alessandro Campi quando sul Messaggero scrive che presto la destra dovrà ringraziare il sindaco di Bologna per l’inatteso regalo. Quale? La decisione di ritoccare la toponomastica di una ottantina di strade della sua città, scolpendo il termine “partigiano” laddove oggi si legge “patriota“, “caduto per la Liberazione” o “eroe del secondo Risorgimento“. Ufficialmente, fanno sapere da Palazzo d’Accursio, per uniformare i sottotitoli dei toponimi. Sarà. Quel che stupisce è che neanche per un secondo Matteo Lepore (così si chiama il primo cittadino) si è chiesto come mai i suoi predecessori, tutti della sua stessa parte politica ad eccezione di Giorgio Guazzaloca, si siano guardati bene dal compiere una simile scelta.
Nella toponomastica Lepore vuole solo il termine partigiano
L’avesse fatto, Lepore avrebbe senz’altro capito che la mancata estensione del termine “partigiano” era frutto di una precisa strategia politica, ben chiara ai dirigenti dell’allora Pci: fare della Resistenza il mito fondativo della Repubblica, così come il Risorgimento lo era stato dell’Italia sabauda. Da qui la necessità di intorbidare le acque del giudizio storico rendendo pressoché interscambiabili i termini di “partigiano” e di “patriota“. Una vera truffa semantica, dal momento che il primo indica chi fa l’interesse della fazione mentre il secondo chi serve quello della nazione. È il motivo per cui nell’Italia egemonizzata culturalmente dagli ex-post e neo-comunisti, solo “partigiano” abbia avuto vita facile. “Patriota“, al contrario, era relegato nel lessico della destra missina, di fatto bandito dal dibattito pubblico.
Un mito di parte
A sdoganarlo fu Carlo Azeglio Ciampi ma è stata Giorgia Meloni a sventolarlo come un’appartenenza politica. Non abbiamo prove, ma è probabile che anche questo abbia contribuito alla decisione di Lepore. Il timore che la toponomastica della democratica e antifascistissima Bologna potesse fare da propaganda indiretta ai Fratelli d’Italia si è rivelato più forte degli obiettivi del vecchio Pci. Da qui la decisione di ribattezzare tutti partigiani, proprio come Carlo V nominò todos caballeros. L’effetto indesiderato di tale decisione (e qui sta la profezia di Campi) sta nel rinculo della Resistenza da mito fondativo della Repubblica a guerra “partigiana”.
È la conferma che la Liberazione non fu il secondo Risorgimento
Un esito scontato perché già contenuto nelle premesse storiche. La Resistenza è stata infatti un fenomeno tutt’altro che di massa, per giunta egemonizzato militarmente e politicamente da una minoranza che l’ha piegato negli anni a scopi di parte. La decisione di Lepore in qualche modo lo conferma poiché suona come presa d’atto dell’impossibilità di sostituire il Risorgimento come mito fondativo della nazione. Quanto più questo fu inclusivo, come conferma la presenza del repubblicano Mazzini tra i Padri dell’Italia monarchica, tanto più la Resistenza si fa escludente, come dimostra l’indisponibilità a riconoscere la dignità dei vinti. Non è un caso: il primo fu opera di patrioti, la seconda di partigiani. La differenza è tutta qui.