Il nuovo fascicolo della “Rivista di studi politici internazionali”: spunti, scenari e libri

7 Mar 2023 13:35 - di Antonio Saccà

Viene edito il fascicolo della Rivista di studi politici internazionali, rivista con diffusione mondiale e una consolidata  tradizione di serietà informativa al di sopra di ogni attualismo vociferato. Fondata da Guseppe Vedovato, la dirige ormai da decenni Maria Grazia Melchionni, con amichevole severità. Mi riferirò a qualche testo dell’ampia contenutistica. La Russia che si amplia in Africa è un  pericolo per l’Europa e non solo per l’Europa? Emanuela C. Del Re  considera l’evenienza in specie con riguardo alla disinformazione. L’Europa specificamente che ha in Africa interessi essenziali da difendere contrasta la Russia. Sempre sulla Russia un  testo che vaglia il nazionalismo. L’Autore, Thomas Delattre, connette  l’educazione nazionalpatrittica allo Stato  autoritario, al centralismo dello Stato in Russia. E’ un argomento che merita  valutazione da parte occidentale.

Interessante, una curiosità, il  testo di Orazio Maria Gnerre sull’importanza del treno e il  valore simbolico del treno come segno concreto di democrazia, di libertà, di socialismo: i viaggi,il collegamento. E’ è noto che l’italiano  Giosuè Carducci considerò il treno il mezzo dell’avvenire per eccellenza,  lo strumento tecnologico, l’invenzione progressista di un uomo affrancato dalla religione, operativo nel mondo. Il testo si riferisce specialmente alla Cina, bisogna dire  che  per i grandi paesi il treno è il mezzo di comunicazione perfino superiore all’aereo anche oggi, masse appiccicate  ai vagoni, ad esempio in India e nei paesi popolatissimi e poveri.

Un ultimo saggio, di Kirili Terentiev, tratta della politica del Fascismo nei confronti degli ebrei che, è nato, si accentua avversativamente nel periodo in cui il Fascismo si accosta al Nazismo e giunge   all’abominio  del razzismo e perfino ai ghetti, da parte dello Stato. Ai  saggi seguono  rubriche , articoli. Segnalo la commemorazione dell’Ambasciatore Giorgio Bosco: ne scriviamo Adriano Benedetti e chi scrive. Giorgio Bosco fu innanzitutto un amico , signorile ,dialogante, con  voglia di sapere, curioso ben oltre il Diritto in cui esercitò la  carriera diplomatica e di docente. Ci conoscevamo da decenni, insieme partecipammo a convegni nazionali ed internazionali  ai tempi in cui Armando Verdiglione li proponeva ovunque. Più recentemente ci frequentavamo anche perchè collaboravo alla Rivista di studi politici internazionali  e la presenza di Maria Grazia Melchionni faceva da tramite.

Conoseva  i rischi della nostra epoca ma voleva essere favorevole alle sorti migliori. La sua voce felice negli incontri e nella  disposizione a rivederci non la dimenticheremo. Di Giorgio Bosco sono pubbllcate recensioni.   Così anche di Chiara D’Auria e di Giuseppe Sanzotta, che scrive del mio libro:”Ho vissuto la vita- Ho vissuto la morte”(Armando Editore). Sanzotta, direttore de Il Borghese già direttore de Il Tempo analizza il mio testo sia negli incontri con  gli intellettuali nella mia giovinezza( Moravia, Pasolini, Carlo Levi, Guttuso, De Chirico, Sciascia, Luzi, Pratolini, Elsa Morante, Anna Magnani ed altri) sia nella narrazione della  mia malattia,l’infezione virale recente . E ne trae, legittimamente, un certo senso indicativo.

Negli anni 60-70 vi era la prospettiva positiva del futuro, vi era un futuro, laddove oggi, tra malattia e guerra, il futuro è un incubo. Non era nella  mia volontà dare questo senso al lbro, ma  l’interpretazione di Sanzotta è  realistica, il testo rappresenta non soltanto la mia biografia ma il percorso della vicenda  collettiva, effettivamente questa è la appropriata maniera di leggere il testo, una autobiografia che diventa storia sociale. Ne ebbi conferma nelle presentazioni che sto facendo.  Nella Libreria Moderna , piccola,  elegante, all’antica, gli  attori, diretti da Massimo De Iulis, hanno recitato leggendo brani sparsi del libro, poesie, prose, spezzoni teatrali, con apparente frantumazione non conseguenziale. Invece accadeva l’opposto, davano la caoticità , la disarmonia, la drammaticità affastellata,  un crescendo che proponeva quel senso di inoltrarci nel marasma. E’ così. Precisamente: da questo incubo dell’inabissamente sorge la volontà di contrastarla, amando maggirmente la vita.

Nella sala ,gremitissima, vi erano miei studenti dell’epoca, oltre cinquanta anni passati, io,  giovane, insegnavo a Rieti, al poderoso Liceo classico Terenzio Varrone. Straordinario ricordare e non ricordare, volti conosciuti, non riconoscibii, riconosciuti, episodi,  taluni li avevo rivisti, Antonio Cicchetti, per due volte sindaco della Città, Massimo De Iulis che aveva posto in scena   bene un mio testo al Teatro Vespasiano e metterà in scena i testi del mio recente libro. Più di cinquanta anni  senza vederci, eppure  non ci siamo dimenticti.  Non abbiamo dimenticato il rapporto umano e culturale del passato.

Se risorgeremo, dicevo nella serato, lo dovremo all’arte, alla cultura, ai rapporti umani significativi, accrescutivi di umanità. Se poniamo al sommo del vivere  i rapporti umani tra esseri umani, artistici, culturali  daremo minor rilievo a piccole mete che causano morte,  inimicizia. Il valore dell’arte, della conoscenza, dei  rapporti umani è troppo alto per disperderla sacrificandola alla inimicizia ed alla morte. Giustamente è stato detto(Freud) che se l’aggressività venisse sublimata  avremmo civiltà invece di catastrofi  in gara micidiale a chi ne suscita rovinosissime.

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