Il retroscena dell’incriminazione di Trump: Alvin Bragg voleva arrestarlo oggi
Sarebbe potuta essere perfino più drammatica di quello che è stata l’incriminazione a sorpresa di Donald Trump, con gran parte dell’America che grida al colpo di stato, poiché, rivela Politico, citando fonti delle forze di sicurezza newyorkesi, il procuratore di Manhattan, Alvin Bragg, voleva addirittura che l’ex-presidente si consegnasse già oggi per essere arrestato.
Uno scenario che avrebbe molto probabilmente scatenato severi disordini vista l’inconsistenza delle accuse – il reato non c’è continua a sottolineare con forza il legale di Trump – e la certezza dei repubblicani che si stia consumando un gravissimo vulnus alla democrazia statunitense e alla libertà elettorale.
Ad ogni modo gli avvocati di Trump si sono opposti alla pretesa del dem Alvin Bragg affermando che il Secret Service ha bisogno di più tempo per organizzare la procedura che è senza precedenti.
Con la prima incriminazione di un ex-presidente della storia americana, ci si trova infatti nella circostanza, estremamente delicata, di un imputato che si presenterà alle autorità scortato dagli agenti delle guardie del corpo presidenziali, che devono garantire la sicurezza a vita degli ex-inquilini della Casa Bianca.
E’ questo quello che Joe Tacopina, l’avvocato di Trump, ha spiegato all’ufficio del procuratore, chiedendo quindi di rinviare alla prossima settimana – a martedì, secondo diversi media Usa – il clamoroso arresto.
In questi giorni, quindi non solo gli avvocati del tycoon, ma anche i responsabili del Secret Service dovranno coordinarsi con la Procura per studiare le modalità della consegna di Trump.
Ai negoziati partecipa anche il Dipartimento di polizia di New York, ormai da giorni mobilitato per garantire una presenza extra nella zona intorno al palazzo di Giustizia di Manhattan, soprattutto dopo che Trump ha esortato i suoi sostenitori a protestare contro il suo arresto.
La sfida è quella di permettere che la prima apparizione di Trump in Procura si svolga come quella di qualsiasi altro imputato – con le foto segnaletiche, le impronte digitali, la cosiddetta ‘Miranda‘, cioè la lettura dei diritti degli arrestati – garantendo all’ex-presidente la protezione necessaria.
In questa occasione, il giudice stabilirà anche le condizioni del rilascio, che potrebbero prevedere anche restrizioni di movimento se non addirittura gli arresti domiciliari. Anche solo la prima eventualità potrebbe avere un effetto sulla nuova campagna elettorale di Trump.
La prima udienza sarà anche l’occasione in cui verranno formalizzate e quindi rese pubbliche le accuse che comprenderebbero, secondo quanto rivelato dalla Cnn, 30 capi di imputazione di frode societaria.
Bragg infatti ritiene che l’ex-presidente abbia commesso un illecito registrando come spese legali i 130mila dollari restituiti all’avvocato Michael Cohen che aveva pagato di tasca propria Stormy Daniels per pagare il silenzio della pornostar sulla relazione avuta con il tycoon nel 2006.
Un illecito, secondo Alvin Bragg, aggravato dal fatto che è stato commesso per impedire che le rivelazioni della donna potessero influenzare la campagna elettorale del 2016.
L’avvocato Tacopina ha raccontato che la prima reazione di Donald Trump di fronte alla notizia dell’incriminazione a New York è stata “di shock“.
Intervistato dall’Abcnews, Tacopina ha sottolineato che nonostante “le voci e fughe di notizie, è stato uno shock vedere che succedeva veramente”.
In un’altra intervista, l’avvocato ha assicurato che Trump “non farà nessun patteggiamento”, dichiarandosi colpevole.
“Non succederà, non c’è crimine”, ha detto alla Nbc riferendosi alle accuse del procuratore Alvin Bragg.
“Non so se si arriverà a processo perché abbiamo delle sostanziali argomentazioni legali”, ha aggiunto sfoggiando sicurezza.
“Alla fine, speriamo veramente e lui spera che lo stato di diritto prevalga”, ha concluso affermando che “nei miei 32 anni di carriera come avvocato, non ho mai sentito lo stato di diritto colpito a morte nel nostro Paese come è successo ieri”.
Sollecitato a dire la sua sulla clamorosa incriminazione di Trump, intanto, Biden ha ripetuto, per tre volte, di non avere nulla da dire.
“Non parlerò dell’incriminazione di Trump”, ha risposto Biden ai giornalisti che, prima della partenza per il Mississippi, hanno con insistenza rivolto domande sull’incriminazione dell’ex-presidente.
“Non ho nessun commento”, ha detto ancora il presidente ai giornalisti che gli chiedevano se la mossa della Procura di New York rischia di dividere il Paese o sul fatto che le accuse a Trump possano essere politicamente motivate.
“Non ho commenti su Trump”, ha ripetuto, per la terza volta, Biden.
Trump, viceversa, ha attaccato, con un post a caratteri cubitali su Truth Social, “il giudice a cui è stato assegnato il mio caso da caccia alle streghe, mi odia”.
“Si chiama Juan Manuel Marchan, è stato personalmente scelto da Bragg ed i suoi procuratori ed è la stessa persona che ha costretto il mio 75enne ex-Cfo, Allen Weisselberg, a dichiararsi colpevole (dichiarati colpevole, anche se non lo sei, e prendi 90 giorni, opponiti e prenderai 10 anni)”, ha aggiunto, riferendosi ad uno dei casi di irregolarità finanziarie della Trump Organization.
“Ha fatto pressioni su Allen, una cosa che un giudice non può fare, ed ha trattato in modo pessimo la mia società, che non si è dichiarata colpevole, appelliamoci!”, ha concluso Trump.