La “lady in red” passa dei fiori nei cannoni alle armi all’Ucraina: tutte le giravolte della Schlein
Alla fine la compagna Schlein ha dovuto cedere. E lo ha fatto subito. Dopo avere spacciato nella campagna per le primarie un pacifismo totale, quasi come se gli altri fossero guerrafondai, la segretaria del Pd ha ammesso che è assolutamente necessario inviare armi all’Ucraina. Chissà che penseranno gli entusiasti di Firenze che immaginavano una ritirata e un’inversione a U sulla linea della politica estera. I nostalgici dei fiori nei cannoni richiamati dalla leva politica della pace senza interventismo, obnubilati dal marketing sottilmente sessantottino della signora in rosso. Ed è solo il primo di una lunga serie. Certo, a condire le dichiarazioni di Schlein c’è sempre la retorica buonista. Sarebbe bello capire cosa significhi “trovare soluzioni alternative alla guerra” mentre si fa la guerra. Basterebbe abbracciare completamente l’opzione massimalista del non expedit, andare in Parlamento, votare contro ogni sostegno a Zelensky e vivere di sana coerenza ma non è l’obiettivo di Elly Schlein. Insomma, fuori dalla melassa dell’ovvietà, dalle marce su Firenze e il contrito silenzio a Cutro, rimane la sostanza della real politik.
La retorica e le contraddizioni della Schlein
Abbiamo iniziato con Kiev, proseguiremo in materia di economia, quando la lady in red dovrà adeguarsi alle decisioni del partito socialdemocratico che governa insieme al Ppe le scelte essenziali. Quest’ambiguita tipica dei comunisti di sagrestia, che pensano di essere contemporaneamente governo e opposizione, è più un’eredità demitiana. La vecchia sinistra di base della balena bianca, la più catastrofica e sopravvalutata nelle esperienze di governo, che costruiva il perimetro dell’arco costituzionale, balbettava in politica estera e si fregiava di piacere a Repubblica, ipotizzando dal centro il sol dell’avvenir. Dopo le rose, avrebbe scritto Ken Loach, bisognerebbe avere il pane ma anche qui Schlein latita. Parla di superamento del precariato ma non dice come, ipotizza transizioni energetiche che già esistono, abbraccia Conte e pretende di sedurre Calenda, ingaggia una guerra sull’autonomia differenziata ma al contempo cerca di guardare al nord. Cade praticamente nell’equivoco paventato da Nietzsche di voler piacere a tutti non accontentando nessuno.
Il primo grande bluff della lady in red
Sull’autonomia i suoi epigoni locali hanno messo in croce Roberto Occhiuto, governatore della Calabria, per il suo si alla Conferenza Stato Regioni sul ddl Calderoli. Peccato che lo stesso Occhiuto, sulla linea di Meloni, avesse sottolineato l’esigenza dei livelli essenziali di prestazione e che la vera autonomia delle Regioni, questa si indiscriminata, sia partita con la riforma del titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra il 2001. La sostanza è unica: gridare alla luna per poi comportarsi diversamente. Ammiccare a un elettorato di sottofondo putiniano per poi votare diversamente in aula, difendere il Sud da suggestive ipotesi secessioniste per poi parlare a un nord che chiede altro. L’interclassismo democristiano che, però, era tutta un’altra cosa. Intanto, il prossimo 22 marzo in Parlamento è presumibile che si consumi il primo strappo tra Pd e Cinquestelle. Essere completamente diversi in materia di politica estera non è un buon incipit per candidarsi come alternativa. Il succo, oltre la propaganda gender e antifascista, è che sotto il vestito non c’è niente. E tra poco se ne accorgeranno anche i reduci delle piazze, un po’ delusi dal primo, grande bluff della signora in rosso.