La partecipazione agli utili per i lavoratori: ora anche la Cisl la propone e smonta i pregiudizi
Nei giorni scorsi il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, ha proposto, in un’intervista ad Avvenire, una raccolta di firme per attuare l’articolo 46 della Costituzione, che prevede la possibilità della partecipazione agli utili e alla co-gestione nelle aziende per i lavoratori. Tecnicamente non si tratta di una novità, considerando che i parlamentari del Msi presentavano puntualmente ad ogni inizio legislatura analoghe proposte di legge che, però, venivano puntualmente cassate per l’esistenza del perimetro costituzionale, di per sé nella fattispecie un controsenso trattandosi di un articolo previsto proprio nella nostra Carta.
Partecipazione agli utili, una proposta rivoluzionaria
Di fatto, però, si tratta di una proposta “rivoluzionaria”, sia perché proviene dalla seconda organizzazione sindacale italiana per aderenti, sia perché può smontare il pregiudizio di una organizzazione dell’economia che si muove secondo logiche capital-comuniste. Esiste da tempo un approccio al governo dell’economia di matrice cattolica che insegue una terza via rispetto alle opzioni di capitalismo puro o di neokeynesismo e l’iniziativa proposta da Sbarra certamente la rappresenta. L’articolo 46 fu fortemente voluto da Amintore Fanfani nella Costituente, spinto da un impulso culturale che aveva le sue radici in Ugo Spirito e Agostino Gemelli e che caratterizzò un vasto e condiviso pensiero cattolico, durante il ventennio, non adeguatamente valorizzato dalla pubblicistica.
Nell’ordinamento c’è una forma attenuata
Esso parte dall’intuizione profetica di cogliere la non attuabilità del socialismo reale come via all’uguaglianza sociale, né di risolvere la questione con una separazione netta fra capitale e lavoro. Il nostro ordinamento prevede già una forma attenuata di partecipazione definita dalle azioni sociali, ma in sostanza rimasta una inattuata utopia. La sfida della globalizzazione vede oggi recitare un ruolo sempre più invasivo di Cina, India e dei paesi orientali per il bassissimo costo della manodopera che impatta fortemente sui diritti basilari dei lavoratori. Di contro, la forte azione del capitalismo è sempre più orientata verso una visione finanziaria (seppure con una componente industriale rilevante) che spesso si traduce (dal caso Goldman Sachs a quello recente della Silicon Valley) in pericolosi effetti domini per tutte le economie.
L’umanesimo del lavoro
La dissociazione tra capitale e individuo è alimentata dall’orientamento dell’innovazione tecnologica sempre più indirizzata a marginalizzare la forza lavoro, trasformandosi in tecnocrazia. L’umanesimo del lavoro contenuto nella proposta di Sbarra può essere colto dal Governo e diventare proposta di cambiamento anche nel contesto europeo. Certamente, per derivazione, è un’arma culturale fertilizzante per il Mediterraneo e apre ad una visione che valorizzi contemporaneamente l’uomo e la sua capacità di intrapresa. Si tratta di un’occasione unica per poter tentare di ridefinire l’economia come parte certo importante, ma non assolutista, di un percorso che contempli l’esistenza di una sintesi politica che restituisca centralità e dignità all’individuo. E’ ciò che, più di tutti, Giovanni Paolo II testimoniò durante il suo pontificato, ponendo all’attenzione di tutti un solco culturale che ancora oggi è fervido e che può trasformarsi in elemento di condivisione sociale.
(*) Docente ordinario di economia al Campus Bio-medico di Roma
Presidente Efma (European Financial Management Association)