Pierangelo Maurizio: “Ecco chi erano i riservisti altoatesini del battaglione Bozen”
“Si continua a fare una grande confusione su queste vicende. La frase di La Russa è piuttosto imprecisa, la realtà dei fatti essenzialmente è questa: in via Rasella a essere massacrati dalla bomba del Gap del partito comunista sono stati i poliziotti aggregati a questo battaglione Bozen, quindi ‘riservisti’ piuttosto avanti con l’età, molti avevano figli, e sottoposti a coscrizione obbligatoria perché l’Alto Adige era stato annesso al Terzo Reich. Molti di loro avevano già prestato servizio militare con l’esercito italiano”, spiega all’Adnkronos il giornalista Pierangelo Maurizio, che nel 1996 pubblicò il libro-inchiesta ‘Via Rasella 50 anni di Menzogne‘, riedito in seconda edizione con il titolo ‘Via Rasella, 70 anni di Menzogne‘, dopo le polemiche scoppiate dalle dichiarazioni del presidente del Senato Ignazio La Russa.
Adesso, precisa Maurizio, ”cercherò di aggiornare il mio libretto anche alla luce del fatto che il tema continua a essere trattato con tanta leggerezza”.
“Nel 1996 – ricorda Pierangelo Maurizio – rintracciai uno dei tre sopravvissuti del battaglione Bozen: mi raccontò che lui andò coscritto obbligatoriamente. Aveva già 30 anni e tre o quattro figli. Il battaglione Bozen era a Roma perché stava ultimando l’addestramento: poi sarebbero andati a fare i piantoni davanti agli uffici pubblici. Quindi non erano delle Ss. Tant’è che il comandante e gli stessi sopravvissuti del battaglione, proprio perché profondamente cattolici, si rifiutarono di eseguire la rappresaglia delle Fosse Ardeatine di fronte ai corpi straziati dei loro commilitoni. Questo sopravvissuto al battaglione Bozen, che incontrai nel 1996, mi raccontò che tornavano dall’esercitazione di tiro al Foro Italico addirittura con i fucili scarichi”.
“Per verificare tutto questo basta andare al cimitero di Bolzano dove è appesa una lapide con tutti i nomi dei caduti del battaglione Bozen di via Rasella, morti che sono stati commemorati in questi anni solo dai membri del battaglione Bozen”, aggiunge Pierangelo Maurizio.
“Quello su cui gli storici continuano a far finta di niente è questo elemento tragico delle Fosse Ardeatine – prosegue l’autore del libro su via Rasella. – Alle Fosse Ardeatine nella rappresaglia tedesca vengono uccisi e trucidati gli appartenenti alle élite della resistenza romana non comunista o anti-comunista, in particolare gli uomini del colonnello Montezemolo, che erano gli ufficiali monarchici, cosidetti Badogliani”.
“Montezemolo – spiega Maurizio – era capo del fronte militare clandestino in collegamento con il governo del Sud che aveva vietato espressamente attentati nel cuore di Roma per evitare rappresaglie. Loro sono stati fucilati e trucidati, almeno una quarantina di ufficiali, compreso il colonnello Montezemolo, il gruppo del partito di Azione della Formazione Giustizia e Libertà, almeno altri 50, e soprattuto i gruppi di bandiera rossa, oltre 60 militanti che finirono alle Fosse Ardeatine. Bandiera Rossa – sottolinea il giornalista – era un forte rivale del partito comunista. Il partito Comunista li bollava come provocatori, come strumenti dei nazisti. Questo è il grande elemento su cui certi storici continuano a non approfondire”.
“La mia inchiesta – racconta Pierangelo Maurizio – partì proprio dai civili morti a via Rasella, dalla ricostruzione della morte di un bambino, Piero Zuccheretti, smembrato dalla bomba a 12 anni. Io intervistai il fratello gemello, che nessuno aveva mai intervistato. E poi, cosa ancora più macroscopica, mi sono imbattuto nel cadavere di Antonio Chiaretti, morto anche lui a via Rasella, che però era un capopartigiano di Bandiera Rossa”.
“La circostanza che nella rappresaglia delle Fosse Ardeatine seguita a quell’attentato più che prevedibile siano state distrutte le élite della resistenza anticomunista o non comunista e che nei mesi precedenti, a partire da fine gennaio, le celle di via Tasso e di Regina Coeli si riempirono soprattutto di appartenenti a queste tre organizzazioni – conclude – è un dato di fatto. Se poi si tratti di una mera coincidenza o se invece ci siano altre spiegazioni, dovrebbero chiarirlo gli storici”.
LO scopo dichiarato da Amendola era quello di suscitare la reazione anti tedesca dei romni dopo la rappresaglia che ne sarebbe seguita, ma i romani rimase tranquilli. Inoltre con la rappresaglia fu decapitata la resistenza non comunista.
La veritè è chiara e concorda con quanto ho postato in precedenza. Basta con l’ANPI, I partigiani sono ormai deceduti in massima parte e lo scorso 25 aprile c’erano più africani che cosiddetti ex partigiani. Basta con il 25 Aprile,festa comunista che fa dell’ostracismo anche contro la Brigata Ebraica.
Il capo dei GAP di Roma era Giorgio Amendola: lo scopo era di provocare la rappresaglia per aumentare l’odio verso i tedeschi e favorire l’insurrezione popolare che non avvenne mai. Quando le truppe tedesche lasciarono Roma prima del 4 giugno 1944, lasciando campo libero agli Alleati, transitarono senza essere attaccati: si verificarono sparatorie per reazione contro chi alle finestre posarono bandiere e festeggiavano l’arrivo dei “liberatori”, quando dovevano aspettare poche ore al loro arrivo. De Gasperi chiese ad Amendola perchè lo hanno fatto e gli risponde che non sapeva niente e dopo lo giustificò. Pertini nel 1983 premiò l’assassino Rosario Bentivegna con medaglia d’argento ….
ma allora, quale era lo scopo di un azione i cui benefici strategici appaiono trascurabili a fronte di un rischio elevato di conseguenze pesanti per la popolazione, e soprattutto chi ha deciso questo attacco pur consapevole del probabile risultato fortemente negativo?
Un libro interssante da leggere come il libro – di Gianfranco Stella. “compagno mitra”. Per coloro che cercano la verità storica degli anni bui della nostra storia.