Sara Kelany (FdI): Solo l’11 % dei salvataggi sono fatti dalle Ong. Che, però, non vanno in quell’area
“Le Ong si posizionano sempre, costantemente, sotto la costa libica, in area SAR libica, e trattano prevalentemente la rotta del Mediterraneo Centrale. Tant’è che se la percentuale dei salvataggi fatti dalle Ong oscilla fra l’11 e il 16 per cento, il 90 per cento di questi salvataggi proviene dall’area del Mediterraneo Centrale”: Sara Kelany, deputato di Fratelli d’Italia, componente della Commissione Affari Costituzionali e membro dell’Ufficio Studi di FdI per ciò che concerne le questioni migratorie conosce molto bene le dinamiche che sottendono al business dell’immigrazione clandestina gestita da Ong e scafisti, ognuno per la parte che gli compete.
E sfata alcuni luoghi comuni che Ong e sinistra terzomondista cercano sfacciatamente di accreditare, come il teorema secondo il quale gli unici occhi che monitorano il Mediterraneo siano quelli dei volontari delle Ong. Niente di più falso, dice la Kelany. Che, da avvocato, è abituata a stare pragmaticamente ai fatti senza andare appresso alle narrazione di comodo propalata dalle Ong.
E i fatti sono presto detti: “Solo l’11 per cento degli immigrati sbarcati in Italia – più o meno è questa la percentuale – proviene dall’attività delle Ong. Ma – aggiunge – di questo 11 per cento una percentuale altissima, preponderante, quasi la totalità degli interventi delle Ong, è effettuata nell’area del Mediterraneo Centrale. E queste navi non incrociano, mai, nell’area del Mediterraneo Orientale, quindi sulla rotta che proviene dalla Turchia”.
Se solo l’11 per cento dei salvataggi viene fatto dalle Ong, chi fa il restante 89 per cento dei salvataggi?
“È effettuato da Guardia Costiera, Guardia di Finanza, dalle autorità italiane. C’è stato un periodo – ricorda Sara Kelany – ma poi hanno smesso di dirlo, in cui le Ong e la sinistra affermavano con una certa sicurezza che gli unici occhi nel Mediterraneo sono quelli delle Organizzazioni non governative. La nostra risposta, ferma, è sempre stata questa: non è vero perché le nostre autorità fanno attività di Search and Rescue molto più delle Ong. E questo anche perché il Coordinamento dell’attività di Search and Rescue per l’area Sar italiana – che ricordo essere 500mila chilometri quadrati intorno alle nostre coste che sono di 8.000 chilometri – è affidato a Guardia Costiera e Capitaneria di Porto”.
E in zona turca? Lì dove le Ong non vanno tenendosi alla larga?
“Teoricamente, il soggetto che si deve attivare per il coordinamento del Search and Rescue è il soggetto che ha la responsabilità dell’area Sar. Però va anche detto che alcune aree Sar non sono mai state definite, altri Paesi è come se non facessero parte di quest’accordo internazionale. Con riferimento alla Turchia, in realtà, dipende sempre da dove avviene l’evento il momento di distress, il naufragio, l’evento di pericolo.
Generalmente noi abbiamo contezza di ciò che accade quando il distress avviene nei pressi delle coste italiane o della nostra area Sar.
C’è il Frontex che fa un’attività sia area sia marittima rispetto a quelli che sono i natanti che sono nel Mediterraneo . Le informazioni, rispetto ad eventi di distress generalmente provengono da Frontex che ha possibilità di avere una visuale più ampia”.
Qualora le Ong arrivassero a soccorrere i barconi sotto le coste turche. E, magari, la Turchia non accetta di prendere in carico gli immigrati – è successo tante volte, anche in area libica – sulla strada del ritorno, prima di arrivare alle coste libiche, incontrano quelle greche, un territorio europeo.
“Certo, certo. Comunque le attività delle Ong – e facciamo naturalmente riferimento a quelle del Mediterraneo Centrale, che si pongono a 20 miglia dalla costa libica – costituiscono, necessariamente, un fattore di attrazione dell’immigrazione illegale.
Perché i trafficanti pubblicizzano la propria attività sui canali social anche prospettando il fatto che chi si mette in viaggio sarà soccorso prontamente. E questo è anche oggetto della recente Relazione dell’intelligence.
Quella relazione dice esattamente ciò che noi diciamo da anni. Ossia che se c’è una nave di un’Ong di fronte alle coste, i trafficanti mettono in acqua una barca anche meno sicura e qmeno performante perché, comunque, le Ong vanno a salvare gli immigrati. E questo cosa crea? Aumenta la possibilità di naufragi”.
“Di fronte ad una tragedia di questa portata, la prima cosa che ho sentito dichiarare dai capi delle Ong – conclude Sara Kelany- è stata” il decreto Ong genera queste tragedie”. Dichiarazione molto strumentale. Le Ong sanno benissimo che in quell’area non ci operano. Quindi questo decreto rispetto a questo disastro non c’entra assolutamente nulla”