25 Aprile: la destra non è figlia del fascismo e la sinistra dimentica le “tesi di Fiuggi”

19 Apr 2023 10:47 - di Carmelo Briguglio

E sì: mi porto avanti sul 25 aprile. Che festeggio ogni anno, sia chiaro, come rievocazione di riconquistata libertà. Ma alla vigilia, un po’ prima, forse una riflessione più ragionata si può tentare. Forse. Lo so: è più difficile farlo con l’avvento di Elly Schlein; lei punta proprio su una overdose di antifascismo di parte e di partito per fare risalire la china al Pd. Ma è la strada giusta ?

Antinomia dannosa più alla sinistra che alla destra

L’impegno a ritrovare un’idea forte del proprio essere di sinistra, si può avvitare sulla fissità fascismo-antifascismo ? No, tranquilli: non mi faccio risucchiare dalla diatriba stucchevole su questo o quel fatto specifico; cerco di ragionare su un piano più alto della contumelia quotidiana, con la “spes contra spem” di un confronto civile, ancorché difficoltoso. Mi ostino a cercare una comune discussione intorno alla radice culturale della questione. Anche se l’interlocutore fosse – temo lo sia – meramente immaginario.
La mia tesi è: la diade fascismo-antifascismo, politicamente parlando, é un’arma a doppio taglio: fa male a tutti, ma più alla sinistra che alla destra; la quale in fondo vi é abituata. E più precisamente alla sinistra post-comunista italiana, rappresentata proprio dal Pd; “post” è definizione “storica”; è appuntita, me ne rendo conto; ma aiuta a capire che, volendo, il termine “post” è un post-it facile da attaccare anche “altrove” dalla destra. Si può dire post-comunista, quanto post-fascista. Con la differenza che per molte personalità della sinistra il “post” corrisponde a un percorso effettivo nel partito storico dei comunisti italiani (alla rinfusa: Napolitano, D’Alema, Bersani, Veltroni, Zingaretti, Bonaccini, Fassino, Gualtieri); invece, il “post” applicato alla premier non risponde a questo requisito di vite passate, di trascorsi effettivi: Meloni è classe 1977. Aiuta questo metodo? Questa terminologia? Mi fermo. Voglio dire: quell’antinomia blocca alla sinistra le uscite dalla sua crisi di identità. Le preclude la ricerca di vie nuove nel ripensare se stessa. Questo il punto culturale, secondo me.
Perché ? Perché richiudersi nell’hortus conclusus dell’antifascismo, significa oggi per il mondo progressista perdere ogni altra direzione; e anche la propria logica fondante.

La destra post-Fiuggi condivide l’antifascismo come valore di libertà

La destra parlamentare italiana, la destra del dopo Fiuggi, condivide da quasi 30 anni, l’antifascismo-valore. É un dato di fatto. Che senso ha aggrapparsi ancora al pre-requisito “antifascista”? A una periodica richiesta di giuramento che donne e uomini, chiamati all’esercizio di doveri istituzionali, li assolvono quotidianamente nel rispetto della Costituzione; di quella Carta su cui, più volte e in più ruoli – è il caso della premier, già ministro e vice speaker di un ramo del Parlamento – hanno giurato coram populo? Questo “distrarsi”, ripiegarsi, è utile alla “left” italiana? A recuperare un’anima? A me pare di no. Non ci crederete, ma questa crisi dell’ultima forma-partito della catena Pci-Pds-Ds-Pd l’avevano antevista, con decenni di anticipo, pensatori “opposti”: Amedeo Bordiga e Augusto del Noce. Le cui riflessioni davvero profetiche, impattano sulla “politique politicienne”; si inverano nella nostra cronaca politica.

La profezia di Amedeo Bordiga

Cosa diceva Amedeo Bordiga, misterioso fondatore del PCI delle origini, amico di Lenin e compagno di confino fascista a Ustica di Gramsci? Sarebbe nato – predisse Bordiga – il male di un antifascismo “che il fascismo stesso, con le sue infamie e nefandezze, avrebbe provocato”. E ciò perché “avrebbe dato vita storica al velenoso mostro del grande blocco comprendente tutte le gradazioni dello sfruttamento capitalistico e dei suoi beneficiarii, dai grandi plutocrati, giù giù fino alle schiere ridicole dei mezzi-borghesi, intellettuali e laici”. Cioè, col suo lessico, Bordiga sosteneva che l’antifascismo avrebbe risucchiato alla sinistra l’anima rivoluzionaria; oggi, diremmo, operaista, sociale; o anche conflittuale, di tutela dei ceti più deboli. Avrebbe portato alla perdita del suo centro, della propria identità dietro a un antifascismo politico e strumentale che gli avrebbe fatto dimenticare la sua missione di interprete delle istanze dei lavoratori. Non è così? Ne hanno ragionato gli intellettuali di sinistra?

Del Noce: fascismo e antifascismo non sono categorie eterne

Anche Augusto del Noce, filosofo cattolico, tradizionalista – giovane antifascista nella Torino di Bobbio – aveva preconizzato lo stesso esito nel suo “Suicidio della rivoluzione”. State attenti – è la sua lezione – a fare del fascismo una categoria eterna, una sorta di “demoniaco che é in noi” pronto a risorgere. Perché questo significherebbe che non sarà mai vinto; sarà sempre presente, in mezzo a noi. Così, non è più un fenomeno storico come gli altri, con un inizio e una fine: resta un pericolo sempre attuale e incombente. Che richiede una sorta di mobilitazione permanente; e quindi un continuo uso politico dell’antifascismo. Un’arma da caricare quando serve. Anche contro quella destra che dà riconoscimento e adesione all’antifascismo-valore; il quale è principio di tutti, non utensileria di parte.
Il rimettere continuamente in circolo l’antifascismo di partito in assenza di fascismo, porta all’antifascismo perennemente insufficiente e deficitario degli “altri”; non solo della destra sottoposta a un esame senza fine, ma anche di formazioni come la Brigata Ebraica espulsa puntualmente dall’Anpi dalle celebrazioni del 25 aprile, per dirne una. Solo che, rientrando sul terreno filosofico, così si pone un problema storico e teologico; e anche “patriottico”. Ma perché mai “questo demoniaco avrebbe trovato – occasione unica nella storia – il modo di esprimersi appieno” proprio in Italia, in una determinata epoca e in una determinata zona, chiedeva Del Noce. E sviluppando il suo pensare sulla pretesa astoricità di fascismo e antifascismo: perché, aggiungo io, solo in da noi, Nazione di cultura cristiana e sede del Papa della Chiesa cattolica, universale ? E quindi: perché mai noi italiani, giusto noi, unico popolo europeo, dovremmo continuamente vivere il discorso pubblico segnati da questa ansia storica e angoscia politica; sotto l’apocalisse di un fascismo sempre risorgente che richiede un antifascismo a sua volta inestinguibile? Perché dobbiamo essere condannati ad “attribuirgli una forza, un potere di resurrezione, un carattere di «araba fenice» che esso non ha (è stato sconfitto, per fortuna: dobbiamo ricordarcelo più spesso)”, scrive Renato Moro; il quale nega quell’idea di Ur-fascismo fatta propria, con una catalogazione davvero approssimativa, da Umberto Eco.

La sinistra ha dimenticato la svolta di Fini: Giorgia Meloni c’era già

Allora, come si può ricucire una storia condivisa della quale le feste – come il 25 Aprile – devono essere celebrazione comune e non rituale di una parte contro un’altra ? Come farlo diventare Costituzione materiale, oltre che formale? Ovvero, percepita come condivisa. Si rende conto, almeno la sinistra colta, che così si produce il mito para-nietzschiano dell’eterno ritorno dell’uguale? Ne hanno ragionato? Discusso ? Mannaggia a me: ma secondo questa prigione mentale, cosa rappresenta l’ascesa di Meloni ? É il ritorno del dittatore con la silhouette di capa di governo democraticamente “eletta” ? Scelta dal popolo e così distante dall’estetica mascellare del Duce del fascismo ? É chiaro che, con l’assurdo sragionare, poi si registra uno spaesamento dal senso comune, dinanzi alle immagini di una premier giovane tra i bambini di Addis Abbeba. E si finisce per cadere nel peggiore pregiudizio. Rancoroso. Allora, sulla “rive gauche”, cosa si vuole fare ? Affidarsi ai moti dell’irrazionalismo o a lettera e spirito della Costituzione democratica che fa sovrano il popolo e regola aurea l’alternanza di governo? La sinistra non ha studiato l’antifascismo
C’è un’ altra analisi da fare. L’avversario va studiato. Ma la sinistra ha studiato la destra? Un tempo lo faceva, specie in occasione di storiche disfatte dell’una e memorabili e scioccanti avanzate dell’altra. Ora dico: che analisi fa la sinistra dell’ antifascismo della destra italiana? L’ha sempre considerato posticcio? C’è stata una fase storica del percorso del Nemico che ha considerato genuino? O giudica la destra italiana erede forzata del fascismo, per sempre? Per capire. E per comprendere se la stagione di Gianfranco Fini, tanto apprezzata anche a sinistra, nella cui leadership si riconobbero tutti gli attuali capi di Fdi – inclusi Giorgia Meloni e Ignazio La Russa e ministri come Adolfo Urso o Giuseppe Valditara – cosa rappresenta per la “rive gauche” ? Fu una parentesi, nonostante dal dopo Fiuggi alla confluenza nel Pdl, Fini sia rimasto alla guida di An per quasi 15 anni ? E dentro i quali – va ricordato – l’attuale presidente del Consiglio maturò tutto il suo percorso politico e istituzionale. Fino a quel chiarissimo “io ero dentro An quando Fini dichiarò che il fascismo è il male assoluto. Non mi pare di essermi dissociata”, detto da Meloni ai microfoni di Rainews.

A Fiuggi la Destra ha fatto propri i valori negati dal fascismo

Era una finzione la rupture di Fiuggi e tutto il percorso successivo ? Non ha alcun significato la “tavola dei valori” di allora in cui furono scritte parole meditate, dibattute, accettate in quella svolta che provocò spaccature e diaspore, esattamente come quella di Occhetto alla Bolognina. Va ora più che mai richiamata, delle “tesi di Fiuggi” quella secondo la quale “non si può identificare la destra politica con il fascismo e nemmeno istituire una discendenza diretta da questo. La Destra politica non è figlia del fascismo. I valori della destra preesistono al fascismo, lo hanno attraversato e ad esso sono sopravvissuti…oggi la Destra politica fa propri i valori democratici che il fascismo aveva negato.” Non basta un documento che é ormai storia politica dell’Italia ?

Il patto costituzionale per l’elezione di Ciampi

E di che natura fu – cito un caso tra tutti – il patto Veltroni-Fini-Casini per eleggere al Quirinale una figura come Carlo Azeglio Ciampi ? Che destra era quella? Era o no democratica ? Era o no costituzionale e repubblicana ? Era degna di relazioni ? Di fiducia ? E se sì, come tutti ritengono, è evaporata ? Si è persa ? Non c’è più? La Meloni o il La Russa di allora sono stati sostituiti dai “loro medesimi”, improvvisamente ammorbati da una morale “reformatio in peius” ? Fatemi capire, se potete. Dite. Spiegate. Si può mai credere all’ idea che Fdi non sia un partito politico che concorre alla politica nazionale secondo le regole della Costituzione, ma un involucro in cui si muovono i geni immortali dell’Ur-Fascismo? Possiamo mettere la parola fine all’ incultura politica, alla propaganda che non costruisce ma distrugge la nostra vita comune ? Si possono finalmente abbattere i muri delle reciproche diffidenze e delle eterne maledizioni contro la destra? Nel 25 Aprile di quale anno potranno fare festa insieme le opposte rive della democrazia italiana? E se non ora, quando ?

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