Cristina Campo, centenario fecondo di riscoperte: esce un libro sulla schiva poetessa che aveva sete di assoluto
Figura schiva e misteriosa, a lungo dimenticata, poi riscoperta, un’opera non classificabile in un preciso genere letterario: chi era Cristina Campo? Nell’anno del centenario della nascita (era nata il 29 aprile del 1923), studiose e filosofe approfondiscono le molte anime di una voce poetica finalmente ritrovata. Nasce così il volume Cristina Campo. Il senso preciso delle cose tra visibile e invisibile (edizioni Mimesis), a cura di Chiara Zamboni.
L’interesse per la poesia e per le poetesse
La riscoperta di Cristina Campo
La formazione a Firenze
Non a caso la sua personalità è stata accostata a quella di un’altra filosofa inquieta e visionaria, Simone Weil. Era nata a Bologna ma la sua formazione si svolse a Firenze. E il suo viso sembrava quello di “una statua toscana quattrocentesca”. Gli anni del suo soggiorno fiorentino la fecero entrare in una rete di relazioni intellettuali che ne affinarono l’ingegno (Mario Luzi, Maria Zambrano, Leone Traverso, Gabriella Bemporad). Il periodo romano, dal 1956 in poi, coincise invece con l’aggravarsi della sua malattia cardiaca che la rese sempre più fragile.
Una vita appartata
Condusse una vita appartata, quasi eremitica, al quartiere Aventino, accanto al compagno Elemire Zolla, sotto la protezione della grande chiesa di Sant’Anselmo che la scrittrice frequentava volentieri: «Il suono delle campane che ordina il giorno, accompagna dolcemente la notte – questa esistenza infine, quasi di oblati in ritiro – è puro olio soave sull’anima e il corpo».
Gli anni romani
Quelli romani, ha ricordato Pietro Citati, «furono anche gli anni della crisi mistica e dei testi più belli che Cristina Campo abbia mai scritto». Stabilì intensi sodalizi spirituali anche con personaggi del calibro di Pound, Malaparte e Ernst Bernhard, che le fece conoscere il pensiero di Jung. Contestò la riforma della liturgia decisa dal Concilio Vaticano II e si avvicinò al rito bizantino che le sembrava meglio corrispondere alla sua sete di assoluto, che cercò di soddisfare attraverso l’interesse per la metafisica orientale. La maggior parte delle opere della Campo (edite dalla casa editrice Adelphi) fu pubblicata postuma grazie all’affettuosa attenzione dell’amica Margherita Pieracci Harwell. E’ quest’ultima la destinataria delle Lettere a Mita (pubblicate sempre da Adelphi), testimonianza di un’amicizia intensa e profonda al punto da trasformarsi in comunione spirituale.
Il ricordo di Pietro Citati
Era, è ancora Citati che la ricorda così, una “creatura estrema”, una “Clorinda ignara di prudenze e di mezzi termini”. Adorava le forme e i gesti perfetti. Il tempo di decadenza in cui visse la sospingeva a cercare “il dio nascosto dietro tutti gli dei visibili”: “Amo il mio tempo perché è il tempo in cui tutto vien meno ed è forse, proprio per questo, il vero tempo della fiaba. Questa è l’era della bellezza in fuga, della grazia e del mistero sul punto di scomparire: tutto quello cui certi uomini non rinunziano mai, che tanto più li appassiona quanto più sembra perduto e dimenticato”.