Elsa Morante, ritratto di una scrittrice anarchica e allergica al neorealismo

7 Apr 2023 10:27 - di Antonio Saccà

In questa epoca di ricorrenze sovradeterminate, il centodecimo anniversario della nascita di Elsa Morante è fluito come un vento  dietro l’angolo, spento e muto. D’altro canto impossibile nominare Moravia e Pasolini ignorando Elsa Morante. Ho ben conosciuto la Morante, la personalità più convinta dei sogni palingenici, redentivi.  Certo, chi non ha avuto illusioni non sta dentro la vita, ma chi non ha riconosciuto le delusioni non sa far tesoro della vita. È stata un’illusione credere in una società più giusta, in una libertà esercitata e non soltanto promessa, in una dignità riconosciuta ai lavoratori nell’ambito del lavoro, in una loro capacità di rigenerare la società? Certo che sono state illusioni, felici illusioni. Altrimenti sussisterebbe ancora lo schiavismo. Nelle forme comuniste, quelle illusioni sono state delusioni? Assolutamente sì.

Comunismo, un errore sconvolgente

Molti di coloro che furono marxisti si illusero che il marxismo, il comunismo, realizzassero le promesse di benessere e libertà per tutti, proclamate, a loro giudizio soltanto verbalmente, dalla borghesia. Il marxismo si presentò come adempimento concreto (libertà sostanziale e non esclusivamente  formale, secondo il giovane Marx) delle mere promesse borghesi. Fu un errore sconvolgente, il comunismo non attuò nessuna delle promesse borghesi, non le rese “prassi”. Quale che sia la convinzione sulle promesse non mantenute dalla borghesia, il comunismo non ne ha reso “atto”, realtà , alcuna. Non vi fu il superamento attuativo delle promesse borghesi.  Ho  affrontato  la  questione  nel  mio  recente libro : “ Ho  vissuto la vita-Ho  vissuto  la  morte”( Armando Editore). E  ne dirò  a  giorni  in  un  Convegno  a  Bari (Casamassima).

L’arte oltre l’ideologia

Negli anni ai quali mi riferisco la letteratura disputava di classi, di proletariato, di progresso, di comunismo, di sfruttamento, di alienazione, di arte, di integrità umana, di impegno, di bisogni.  Ma non si trattava di misurare il progressismo, l’ideologia, ma il grado di temperatura, la profondità cognitiva resa espressione,  questo l’ambito comprendente del mio testo a cui sovente mi riferisco, pubblicato su Nuovi Argomenti, rivista diretta da Alberto Moravia: se bastava l’ideologia a rendere arte un’opera o vi era qualcosa di indispensabile dentro l’ideologia, l’espressività.

Nel mondo di Elsa Morante

Di persone, di personaggi conosciuti nella mia giovinezza, taluni fugacemente, altri con relazioni di attività e di amicizia, ho dato rappresentazione, anche per consegnare un mondo scomparso fisicamente , persistente nella cultura e nell’arte. Come dimenticare la “figura” di Elsa Morante, per dire? Era un vero personaggio, e un personaggio vero. Piccola, faccia larga, capelli dilaganti, crespi, gonfi ai lati, primitivi, occhi indimenticati, di un azzurro colmo straripante, più dilatava le palpebre più rivelava azzurrità, due laghi che sembravano sul punto di versare il loro colore oltre l’occhio. Se ne stava accucciata, intanata, direi, in una mansarda a via del Babbuino, quasi a Piazza del Popolo,  Roma, prossima all’abitazione di Alberto Moravia, allora in via dell’Oca.

Di Moravia la Morante era consorte: sono i primi anni dopo il 1960. Fu appunto Moravia a dirmi di conoscere Elsa, la quale viveva tra cuscini, divani, poltrone e gatti persiani a lei somigliantissimi, scarruffati e dagli occhi fermi e diretti. La Morante era tutta in sé, l’opposto della “mente” moraviana, che connetteva la soggettività dei suoi protagonisti a una realtà sociale condivisa. La Morante scriveva delle sue fantasie familiari o dei suoi intrecci psicologici, in atmosfere inconsuete, tangenziali: si trattasse dei suoi ricordi familiari, in “Menzogna e sortilegio”, si trattasse di un rapporto padre/figlio ne “L’isola di Arturo”, come se svolgesse sogni, narrasse di mondi a parte, un bambino sperso nel delirio o nell’incantesimo. Gliene venne grande stima, in specie da coloro che mal sopportavano il realismo, e il neorealismo.

Elsa Morante e l’amore per la poesia

Non era facile dialogare con la Morante, almeno quanto era facile dialogare con Moravia. Era capricciosa nei suoi giudizi, vale a dire non giudicava: rifiutava o prediligeva. Era legatissima a Pasolini, che le era legatissimo, almeno fino a quando Elsa pubblicò “La Storia”. Esaltava Umberto Saba e vantava Bernardo Bertolucci, che aveva pubblicato, per Longanesi, un testo di poesie, premiato a Viareggio. A proposito di testi poetici, Moravia mi suggerì di far leggere un mio libro inedito alla Morante, dicendomi che Elsa amava la poesia. Glielo recai, nelle penombre della sua abitazione, mentre un gatto mi ispezionava ed Elsa mi fissava con occhi che parevano quelli del gatto.

Con la Morante mi comportai impulsivamente. Un pomeriggio,di domenica, credo, le telefonai, chiedendole del mio testo di poesie, me ne parlò con percezione partecipe. Io, però, ora non so comprendere la ragione, volevo il testo indietro, lei voleva farlo leggere a dei critici, io non volevo, lei insisteva, io insistevo, lei era chiamata dalle amiche, suppongo giocasse a carte, io ero spintonato dalle persone radunatesi intorno, usavo un telefono pubblico. Una comica. Infine, la sconsolata Elsa mi ridiede il testo. La verità è che un giovane, con l’ansia della pubblicazione, vive una condizione seminferma.

Elsa Morante, Lucio Colletti e il ’68

Con Moravia, Pasolini, specialmente, la sessualità e l’omosessualità entravano nella problematica sociale. Mi approssimo agli anni ’70, li oltrepasso. Il ‘68 ha ceduto al terrorismo, il quale è l’opposto del ‘68. Rivoluzione del costume, vitalismo, il ‘68; rivolta disperata, omicida il terrorismo, proprio per negare il presunto conformismo del piacere di vivere dei sessantottini e per combattere una sinistra non rivoluzionaria. Quando non c’è rivoluzione c’è il terrorismo o l’integrazione, questo il “ragionamento” dei terroristi. Il Sessantotto invece proponeva soprattutto l’erotismo. Che fare se non è il proletario a succedere alla borghesia? Sparare all’impazzata, per creare  “rivoluzione”? Quante discussioni! Il non dimenticabile Lucio Colletti, tra un passaggio con le mani nei suoi capelli ricciuti come se dovesse premerli per ragionare cominciava a tirarsi fuori dal marxismo, e ne era stato tra i più rinomati studiosi, con Luporini, Della Volpe, Rossi. Colletti, prima negò il Marx dialettico e ne fece uno scienziato, il che mi pareva inconcepibile; poi lo negò totalmente. Ci incontravamo a casa di Lucio. Non è il momento di vagliare se la dialettica andasse respinta e bisognava tornare alla logica aristotelica e al principio d’identità, la questione più appariscente era questa : costituisce il proletariato una classe “successiva” alla borghesia, e con quale “forma” economica?

Lucio si tormentava i capelli, e, con la bella voce analitica, negava ormai questa eventualità: il proletariato non era l’erede della borghesia, veniva sconfitto all’interno della borghesia. Non se ne compiaceva. Né voleva una borghesia spadroneggiante. Ma la storia è una miniera, più scavi e le sorprese non finiscono. Quanto spiace che non vi sia l’amico Lucio Colletti per considerare insieme una “variabile” che pochissimi colgono: oggi la crisi della borghesia viene dalla stessa borghesia. Per cui adesso il quesito è: la borghesia sarà capace di succedere a se stessa?

La Storia, una successione di orrori

Ad Elsa Morante tutto questo insieme non interessava, credeva nei ragazzini, che i ragazzini avrebbero salvato il mondo. Poi, nell’estremo della sua opera e della sua vita, scrisse La Storia , ed ebbe risonanza anche di pubblico. La Storia le appariva una successione di orrori. Ed Elsa la fuggiva  tra sogni e gatti. Si separò da Moravia, che  prese abitazione a Lungotevere delle Vittorie. Invecchiò, la scorgevo a Piazza del Popolo  davvero ‘sciamannata’. Dopo anni  furono edite le missive che l’innamorato Alberto Moravia inviava ad Elsa. Una espressione di Moravia mi sta nella mente. Pressappoco questa: Se ti vedo sono quasi felice. Chi sa, è addirittura pensabile che Elsa Morante non concedesse ad Alberto Moravia neanche la “quasi felicità” e Moravia visse quell’amore come  un cieco che non tocca la parete.  Per un lungo periodo Elsa fu l’individualità essenziale di Moravia, ed Elsa forse, dicevo, eludeva di essere presa. Quando Moravia si staccò, fu Elsa a  diventare cieca brancolante. Supposizioni. Nel gioco delle parti.

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