Pensare l’immaginario, un bel convegno di gente “per male” che alla sinistra è rimasto sul gozzo
Alla fine bisogna dire grazie due volte a Francesco Giubilei, a Alessandro Amorese e a Emanuele Merlino per avere organizzato il convegno “Pensare l’immaginario” (che si è svolto ieri a Roma con successo). Il primo grazie perché chi fa ha sempre più ragione di chi non fa. Il secondo grazie è per i fantastici disturbi che hanno provocato ai ruminanti del giornalismo “anti”. Il pubblico c’era, i temi c’erano, le citazioni pure. Tante. Io ho moderato l’ultima sezione (panel si può dire? Boh) e ho ascoltato tutte cose interessanti. A dispetto delle ironie del Foglio e degli appunti di Raimo da San Lorenzo (ma chi lo ha fatto entrare?) che ha commentato le tinte di capelli dei vecchi, maschi e bianchi accorsi all’hotel Quirinale.
Non siamo nati ieri e capiamo che anche un minimo di effervescenza fa alzare i valori della bilirubina di chi pensava di liquidare la faccenda cultura di destra con la vecchia frase: “con la cultura non si mangia”. Invece lì, giovedì, erano tutti a dire che con la cultura si mangia e che senza soldi – è stato un tratto unificante di tanti interventi – la cultura non si fa. L’ultima e conclusiva sezione è stata aperta da Federico Palmaroli in arte Osho, che ci ha fatto sorridere. “Lui – ha detto Luciano Lanna – costruisce immaginario senza fare sermoni, perché la cultura non si teorizza, si fa“.
Se ci fosse stato più tempo, avrei chiesto a Francesco Borgonovo, Pietrangelo Buttafuoco, Luciano Lanna, Marcello De Angelis e Davide Rondoni se loro si riconoscono nella metafora della destra conservatrice, custode di valori, che veglia l’identità italiana. Immagine suggestiva: ma non vi ricorda il soldato di Pompei di Oswald Spengler? Un po’ di dinamismo, eddai. Mica guasta. Non c’è stato tempo ma avrei chiesto un parere su un personaggio che nessuno ieri ha citato e le cui analisi però a me paiono molto interessanti per capire l’oggi. Si chiamava Costanzo Preve e scriveva che il neocapitalismo non vuole persone ma individui senza alcun ancoraggio che o consumano tanto per sopravvivere o si ammazzano. C’era anche da fare un po’ i grilli parlanti: ma non meritano menzione anche Leopardi e Pirandello oltre a Prezzolini? Poi ci ha pensato il poeta Rondoni, con la pipa stile Hobbit, a dire che “signori, la domanda di senso è sempre quella che Leopardi fa alla luna, chi sono io? Mica siamo carciofi che devono durare, siamo persone in cerca di senso”. Che bravo, Rondoni. Bravo almeno al pari di Osho, che Buttafuoco ha gratificato accostandolo ai “futuristi”.
Buttafuoco a sua volta ha citato Giovannino Guareschi. Che tornato dalla prigionia tedesca chiede: Da che parte andate? Tutti a sinistra? E io vado a destra. Guareschi era un non conforme come Longanesi che, seduto al tavolo di una trattoria sente parlare male di Mussolini da quelli che forse erano in camicia nera qualche anno prima e urla: “E allora viva, sempre viva il Ducione nostro” (lo raccontava Gianna Preda). Insomma direzione ostinata e contraria, come l’album di de André. Ma de André non si può né cantare, né citare, lo sappiamo. E però ci dipingono come fascisti su Marte, osserva Buttafuoco. Un po’ con supponenza un po’ con voglia di criminalizzare. “E io me ne frego, e noi dobbiamo fregarcene, dire le nostre cose, senza cercare l’approvazione”, replica in corso di dibattito Borgonovo. E gli diciamo di stare attento però alle scarpe che sceglie, che hanno detto che va ai convegni con gli anfibi. Lui mostra le scarpe. “Ma queste?”. “Quelle, quelle, non vanno bene…”.
Marcello De Angelis ci ha spiegato, o spiegato di nuovo, in che senso Gramsci parlava di egemonia. E poi ha detto: se andiamo appresso all’agenda compilata da “loro” abbiamo già perso. Già, ma che si vince alla fine? Questo non lo ha detto nessuno perché nessuno lo sa. E’ un po’ come nella canzone di Lucio Battisti, Gente per bene e gente per male: “Ah! Fatemi entrare /Voglio giocare, voglio ballare insieme a voi/ No, sei troppo ignorante/ Odori di gente/ Che non conta niente, paura ci fai”. Chissà, magari si vince il diritto di non-entrare. Di essere “gente per male”. Di dire: ma statene tra di voi allora, che non sapete che vi perdete. Ma basta citazioni.
C’è un’ultima cosa da annotare. Le poche donne. Dice: ma come? Ancora stiamo lì con le quote dopo la sberla che Meloni ha dato a tutte quelle lagnose? E sì, stiamo ancora lì. E il bello è che la critica viene da chi fa l’elogio della fluidità 364 giorni all’anno e il giorno 365 va a contare quante donne ci sono in un convegno dell’area che esprime la prima premier donna in Italia. E sì, fanno così. Ha cominciato Vanessa Roghi da Orbetello con un post sulla bacheca di Alessandro Campi. E così la cupoletta si è messa in moto. Poche donne, poche donne, vergogna… Tra una lettura di Marzano (che ci dice che anche le donne possono avere il pene) e uno sperticato elogio della gestazione per altri. Loro, così asserviti alla crociata per fare scomparire le donne, che stanno col pallottoliere a contare le presenze femminili ai convegni. Ma scansatevi, please.