Pure Galli della Loggia sbotta contro i talk sul fascismo. E li stronca Costituzione alla mano
I talk show che ogni sera ci propinano dibattiti infiniti sul fascismo e richiedono «spiegazioni, chiarimenti, precisazioni e naturalmente abiure» hanno scocciato. A dirlo non è un qualche ipotetico nostalgico esponente del governo che si pone sulla difensiva, ma Ernesto Galli della Loggia, che in un editoriale sul Corriere della sera di oggi, oltre a far capire che non se ne può più, spiega anche perché, in fin dei conti, quest’insistenza ossessiva sul «passato che non passa» è anche contraria allo spirito della Costituzione. Alla quale lo storico si rivolge per prendere una «boccata d’aria».
La «saggezza della Costituzione» contro quelli del «passato che non passa»
Galli della Loggia chiarisce di non essere affatto sorpreso da questa «continua tendenza a riaprire i conti e a farlo sempre nel modo più aggressivo e perentorio», che si manifesta nel vaglio certosino di «ciò che pensa del fascismo chi sta al governo». Ma vi oppone la «saggezza» della Costituzione. E, in particolare, quella manifestata nel secondo capoverso della XII disposizione transitoria e finale, «una di certo tra le meno conosciute in assoluto», «la quale – ricorda l’editorialista – dopo aver vietato “la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista” recita: “In deroga all’articolo 48 sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e all’eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”».
Galli della Loggia richiama il significato della XII disposizione transitoria
« In altre parole – sottolinea ancora Galli della Loggia – dopo il primo gennaio 1953, se lo avessero voluto i “capi responsabili del regime fascista” (facciamo qualche nome di quelli allora viventi: Federzoni, Grandi, Bottai, Scorza ecc., quasi tutti squadristi, responsabili di cosucce come le leggi razziali e la Seconda guerra mondiale) avrebbero potuto tranquillamente essere eletti nel Parlamento della Repubblica». Dunque, «come si spiega questa decisione all’apparenza così contrastante con l’immagine di una Costituzione coerentemente antifascista?», è la domanda. Per Galli della Loggia è «difficile credere» che i Costituenti contassero su delle abiure. «Assai più probabile», invece, «che nella loro saggezza» ritenessero che «non aveva senso comminare l’esclusione dalla vita pubblica, né tanto meno chiedere loro una ritrattazione o una dissociazione postuma».
Le decisioni che «aiutarono la Repubblica a mettere radici e a vivere»
«Con il tempo, essi piuttosto si auguravano, ci avrebbe pensato la democrazia a mettere le cose a posto: come infatti è sostanzialmente avvenuto», aggiunge ancora lo storico, sottolineando che «non a caso amnesia e amnistia, quella amnistia saggiamente decretata da Togliatti nel 1946 per chiudere la guerra civile, hanno la medesima radice». E, ancora, «negli anni di quell’infuocato dopoguerra si decisero molte cose della nostra Storia, della sua ambiguità, delle sue molte apparenti contraddizioni e dei suoi molti taciti compromessi: tutte cose che possono dispiacere, e che però aiutarono non poco la Repubblica a mettere radici e a vivere».
E se qualcuno avesse chiesto abiure a Pietro Ingrao?
L’esempio che porta Galli della Loggia è quello del Pci, che partecipando alla scrittura della Costituzione pur «svolse un ruolo centrale nella costruzione della nostra democrazia», sebbene «impregnato di stalinismo fino alla punta dei capelli e con il suo massimo dirigente coinvolto direttamente nei più atroci misfatti di Mosca, non poteva certo dirsi una forza politica democratica». «Ciò nonostante – avverte ancora lo storico – se nel 1976 qualcuno avesse chiesto a Pietro Ingrao sul punto di diventare presidente della Camera – all’Ingrao ex direttore della trucissima Unità filosovietica al tempo dei «fatti» d’Ungheria – di dichiararsi preliminarmente contro il comunismo e i suoi crimini, di dissociarsi pubblicamente dal Gulag e dal massacro di Katyn, che cosa avremmo pensato? Saremmo stati d’accordo?».
L’invito di Galli della Loggia a fare i conti con il passato
«La nostra storia, al pari di quella di tanti altri Paesi, ma forse un tantino di più, è stata fatta anche di questi necessari oblii, di queste opportune dimenticanze», chiarisce quindi Galli della Loggia, per il quale «bisogna convincersene: la storia e la politica che ne è l’anima non sono cose che assomiglino al casellario giudiziario, con l’elenco dei pregiudicati da tirar fuori al momento opportuno». «I conti con l’avversario, con il nemico – è dunque il monito finale – vanno regolati sia pure nel modo più spietato, ma sul momento. Non ottant’anni dopo aver vinto».