Tra gli italiani in Sudan anche un bimbo di 8 anni. Palazzo Chigi segue con preoccupazione gli eventi
È caos in Sudan dopo gli scontri scoppiati in mattinata fra l’esercito e i paramilitari filorussi delle Forze di supporto rapido. La Farnesina, ha seguito fin da subito le sorti degli italiani presenti nel Paese. “La situazione è tesa ma stanno bene e sono in stretto collegamento con l’ambasciata”, ha spiegato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani ribadendo che l’invito è quello a “non abbandonare le proprie abitazioni” mentre Emergency ha reso noto di aver chiuso il Centro pediatrico Mayo alle porte della capitale facendo evacuare lo staff.
Il governo italiano invita i nostri connazionali a rimanere in casa
“Il Governo italiano – si legge in una nota di Palazzo Chigi – segue con preoccupazione gli eventi in corso in Sudan e si unisce agli appelli ONU, UA e UE perché cessino i combattimenti a Khartoum e altrove, per la sicurezza del popolo sudanese e per risparmiare ulteriori violenze. Invita quindi le parti in causa ad abbandonare la via delle armi, e a riprendere i negoziati avviati da tempo, affinché il popolo sudanese esprima le proprie scelte nell’ambito di un processo elettorale. La violenza porta soltanto altra violenza. Il governo italiano segue la situazione di sicurezza dei cittadini italiani, che sono invitati a restare a casa o in altro luogo sicuro, come chiesto dalla Ambasciata d’Italia, aperta e operativa”.
Chi sono gli italiani bloccati in Sudan
C’è tuttavia un gruppo di italiani che è bloccato a Khartoum. Si tratta di cinque persone, tra cui un bambino di 8 anni, spiega all’Adnkronos Stefano Rebora, presidente dell’ong Music for Peace. “La situazione è sicuramente tesa”, afferma Rebora, che parla dal compound, dalle finestre del quale “abbiamo visto colpi di tank e scontri a fuoco, proprio su Africa Road che porta all’aeroporto”. “Siamo in stretto contatto con l’ambasciata e con l’ambasciatore, che sta facendo un lavoro eccellente”, prosegue il presidente dell’ong, notando che gli scontri sono effetto dell’ultimatum di 24 ore che le forze governative hanno lanciato ai paramilitari e che non è stato rispettato. “Per ora non ci sono problemi per la nostra incolumità. Siamo in sicurezza, ma ovviamente l’ordine è di stare chiusi in casa”, dichiara Rebora, sottolineando che se la situazione dovesse degenerare “abbiamo già messo a punto un piano per raggiungere l’ambasciata, ma ora è meno rischioso stare nel compound”.
L’appello della Farnesina agli italiani in Sudan: rimanete chiusi in casa
Rebora racconta che “stamattina sono iniziati i primi scontri, poi degenerati con l’utilizzo di carri e dell’aviazione. Abbiamo anche documentato il volo a bassa quota di un Mig” ed evidenzia che, a differenza delle violenze del passato, gli scontri di oggi si concentrano nel centro cittadino, nella zona delle ambasciate di Amarat, nei pressi dell’aeroporto e di alcune caserme dei paramilitari. “Siamo in contatto con altri connazionali e attraverso le loro testimonianze siamo riusciti ad avere una ‘mappatura’ delle violenze” in città, dice Rebora, che ha una lunga esperienza fatta di 44 missioni all’estero e maturata anche in teatri di conflitto, dall’Ucraina a Gaza. “Da notizie che abbiamo ‘sottobanco’ stanotte potrebbe esserci un’intensificarsi degli scontri, noi incrociamo le dita e aspettiamo”, conclude.