Al G7 Giorgia Meloni ha portato un messaggio di speranza e la nuova credibilità dell’Italia
Conosceremo nelle prossime ore le conclusioni del G7 che si tiene a Hiroshima, dove Giorgia Meloni ha mostrato ai colleghi le immagini della disastrosa alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna, ricevendo condivisione e solidarietà. Pensieri di commozione, ma anche di reazione all’eccezionale calamità, occupano la mente della premier nella città-simbolo del più orrendo crimine che l’homo bellicus potesse progettare contro l’uomo stesso: il nostro Ettore Majorana forse capì tutto e decise di sparire dalla scena del mondo per “non vedere”.
Il G7 della Meloni, premier più a destra dell’Occidente sviluppato
Adesso, da emblema di crimine del genere umano in odio a se stesso e contro il Cielo, con la scelta di farne sede del G7, la città-martire del Fungo Atomico diventa simbolo di pace e di cooperazione tra ex Vincitori e Vinti; anche se l’atrocità immane sopravvive nei ricordi individuali e nella memoria collettiva del popolo giapponese che ospita il vertice. «Oggi ricordiamo il passato per scrivere, insieme, un futuro di speranza», ha scritto Giorgia Meloni sul Libro d’onore del Museo della Pace.
Lei, è l’unico Primo ministro a lasciare un’impronta femminile in questo G7 che si tiene in un luogo storico dove spicca come l’unica donna e come il capo di governo più a destra dell’Occidente sviluppato; ma che porta con sé una dote importante per il concerto delle Nazioni in cui siede a pieno titolo: la solidità della scelta atlantica e la decisa postura pro Ucraina nella guerra di aggressione scatenata da Putin.
Stati di diritto e regimi autocratici
Due opzioni nette che fotografano la politica estera dell’Italia e della quale Meloni é garante in prima persona. In un sistema di alleanze, dove le relazioni non si svolgono sull’asse destra-sinistra, ma sull’opposizione tra Stati di diritto e regimi autocratici, l’interesse nazionale di ciascuno coincide con quello comune. Perché – come ha sottolineato la presidente – una lettura non attenta della globalizzazione ha portato al risultato che «si sono rafforzate le autocrazie, le democrazie si sono indebolite». Un quadro in cui, poco o nulla rileva l’appartenenza ai diversi fronti progressista, conservatore o liberale: le differenze sono chiamate a collaborare in nome della medesima “civiltà”. E al tavolo dei Sette, la Meloni, dopo soli 200 giorni di governo, porta in dote due elementi di cui nessuno pensava potesse essere capace in così poco tempo.
Indipendenza energetica dalla Russia di Putin e strategia mediterranea
Il primo é la compiuta autosufficienza energetica dal gas russo, dopo pluriennali politiche di dipendenza; congiunta a una ripresa del ruolo strategico dell’Italia nel Mediterraneo e in particolare nel Continente africano. Si comprendono così meglio certe scelte di politica interna, come la conferma di De Scalzi, imposta dalla premier alla testa dell’Eni, in nome della ragion di Stato e non delle convenienze domestiche. Perché noi, che siamo la potenza più piccola del G7, vantiamo un colosso che ha dentro la pancia e soprattutto nel suo cervello antico, esperienze stratificate che, nel mondo e soprattutto in quella parte bagnata dal Mare di Mezzo, si eleva a un’altezza superiore a quello del nostro Pil: l’Ente Nazionale Idrocarburi ha una storia importante e una “diplomazia” attiva in oltre 60 Paesi. Ed é proprio al radicamento e ai collegamenti del nostro Cane a Sei Zampe, che dobbiamo la conquista dell’indipendenza energetica dalla Federazione Russa; un risultato che ci dà credibilità internazionale: per questo va “fissato in alto”, per non farlo ingoiare dall’oblìo facile del nostro tempo.
G7, Meloni e la difficile situazione in cui versa la Tunisia
Non é un caso se la nostra premier abbia portato all’attenzione del Gruppo la “situazione difficilissima”della Tunisia che ha “un rischio di default finanziario dietro l’angolo” denunciando “una certa rigidità del Fondo Monetario Internazionale” nell’ andare incontro alle richieste di aiuto di Saied. E non é neppure secondario l’accento che il nostro capo del governo – che ha voluto istituire un ministero per il Mare, affidandolo a una persona di esperienza come Musumeci – ha evidenziato che il mare “ha un importante ruolo sul piano economico: più dell’80% del commercio internazionale viaggia sul mare” il quale – ha ricordato parlando in un Paese che “galleggia” sul mare – che esso “è parte della nostra cultura, della nostra visione del mondo”.
La scelta pro Kiev e il lascito critico della Via della Seta
Il secondo dato che la premier italiana porta al Gruppo é la collocazione del nostro esecutivo nello schieramento in favore dell’ Ucraina, la sua posizione di Nazione tra le più convinte nel sostegno a Kiev; senza alcuna “timidezza” o remora “pacifista” nell’apporto di armamenti che sono indispensabili alla difesa del Paese aggredito, il cui presidente Zelensky parteciperà di persona al vertice, accolto dalla decisione degli Usa di non opporsi all’invio di jet F16; anche se un approfondimento sarà fatto nella sede più appropriata che é quella Nato. Queste carte di credito conferiscono al governo italiano piena legittimità e agibilità internazionale: nel circuito della politica globale, le piccole gelosie dei “cugini” francesi e le dichiarazioni grossier dei ministri di Macron appaiono ininfluenti, direi insignificanti.
Il “lascito” ereditato dal predecessore Giuseppe Conte
In verità, Meloni si porta dietro un lascito critico, ereditato dal predecessore Giuseppe Conte: l’adesione italiana al Memorandum of Understanding (MoU) tra Roma e Pechino sulla Belt and Road Initiative (Bri); la famosa Via della Seta, tassello strategico della sfida globale portata dal presidente Xi alle democrazie occidentali. Una scelta che, già densa di interrogativi al tempo in cui fu fatta, quattro anni fa – l’Italia è l’unico membro del G-7 che ha firmato il patto – oggi appare ancora più problematica, alla luce del sostegno aperto di Xi a Putin e della formazione di un imprevedibile blocco asiatico che tiene alta la guardia della Nato. L’uscita dalla Via che porta agli interessi del gigante cinese, per la quale premono i partner e in particolare gli Stati Uniti, é una scelta che Giorgia Meloni prenderà in considerazione; lo farà con equilibrio e prudenza, ma anche con un’energia decisionista che sono proprie del carattere e dell’identità della premier.
Vedremo: la Meloni sa come e cosa fare, anche alla luce dei colloqui e dei bilaterali che la stanno impegnando. Intanto annotiamo che oggi sembra naturale, ma, appena sei mesi fa quasi nessuno avrebbe scommesso su questa capacità di sintonia e di reggere il ruolo internazionale da parte sua.
La riforma delle istituzioni italiane e il binocolo mondiale
Ci sono altre due risorse inedite che il nostro presidente del Consiglio si porta nella borsa da lavoro. La prima conta molto per i partner occidentali: la stabilità del suo esecutivo di legislatura e la prospettiva di potere avere la stessa interlocutrice per i prossimi anni. Un novità di “rottura” col passato; con la reputazione negativa di Paese politicamente tellurico e dagli esecutivi di vita breve, che ci trasciniamo da sempre; più pesante da quando i primi ministri sono diventati i protagonisti della politica estera e della sicurezza. Questo binocolo mondiale dovrebbe far capire meglio, ai soggetti politici che animano la democrazia italiana, quanto importante possa essere per noi darci una riforma costituzionale in grado di conferire continuità ai governi; é nell’interesse nazionale dare vita alla modernizzazione della nostra Repubblica: darle una guida solida e autorevole nelle relazioni con gli altri, proprio in ragione della necessità di attraversare con credibilità e affidabilità vicende e crisi globali.
La vicinanza tra Italia e Santa Sede è una risorsa globale
L’altro, e di certo non ultimo fattore – che ha fondamento nelle opzioni “biopolitiche” e bioetiche del gabinetto Meloni e nei profili di alcune figure che ha voluto nella sua compagine – e che Giorgia può spendere é il rapporto di vicinanza con la superpotenza che l’Italia può vantare sul suo territorio: il Papa della Chiesa di Roma. Non é un dato da poco. Nei rapporti con la Santa Sede – punto di riferimento per oltre un miliardo di cattolici e indiscussa autorità morale planetaria – tra i capi riuniti a Hiroshima, come ha indirettamente confermato l’improvvida uscita del premier canadese Trudeau, la nostra presidente é quella che più di altri, per intuitive ragioni, può meglio tenere un dialogo proficuo e utile a promuovere la coesistenza pacifica tra le Nazioni e a dare un contributo importante alla fine della guerra e al raggiungimento di una pace giusta per il popolo ucraino. Essere a Hiroshima con dignità e con una cassetta di idee rispondenti ai nostri interessi permanenti presentate al tavolo dei Sette, va per questo letto come un successo; della nostra premier e dell’Italia.