E’ morto l’architetto Paolo Portoghesi. Nell’ultima intervista spiegò come “Abitare poeticamente la terra”

30 Mag 2023 13:09 - di Redazione
Portoghesi

L’architetto Paolo Portoghesi è morto questa mattina nella sua casa di Calcata (Viterbo) all’età di 92 anni. Lo annuncia la famiglia all’Adnkronos. Docente universitario e progettista di fama internazionale, Portoghesi è stato il principale esponente del Postmodernismo in Italia. L’attività di Portoghesi si è svolta parallelamente sui versanti della ricerca storica e della progettazione architettonica, puntando alla reintegrazione della memoria collettiva nella tradizione dell’architettura moderna. Tra le sue opere più note figurano la Moschea e il Centro culturale islamico a Roma (1984-95) e il quartiere Rinascimento nel Parco Talenti a Roma (2001). “Oggi è un giorno di lutto per l’architettura italiana”, o afferma il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, nell’apprendere della scomparsa di Paolo Portoghesi.

Nato a Roma il 2 novembre 1931 e laureatosi nel 1957, Portoghesi ha insegnato Storia della critica dal 1962 al 1966 all’Università di Roma “La Sapienza”, dal 1967 al 1977 è stato professore di storia dell’architettura presso il Politecnico di Milano, di cui è stato preside dal 1968 al 1976. Dal 1995 ha insegnato progettazione presso la Facoltà di Architettura dell’Università “La Sapienza” di Roma, di cui era professore emerito. Ha diretto il settore architettura della Biennale di Venezia (1979-82), di cui è anche stato presidente (1983-93). Nell’ultimo trentennio Portoghesi è stato anche uno dei principali teorici della ‘geoarchitettura’, una disciplina, secondo le sue parole, che “cerca di correggere il rapporto architettura-natura sulla base di una nuova alleanza: l’uomo deve smettere di costruire secondo una logica puramente economica che produce spreco di energia, inquinamento e sfruttare il patrimonio degli antichi borghi invece di abbandonarli alla distruzione”.

Il ritiro a Calcata

E’ il ‘piccolo mondo’ di Calcata, il borgo sulla rupe tufacea, in provincia di Viterbo, che Paolo Portoghesi,  racconta nel suo ultimo libro dal titolo “Abitare poeticamente la terra” (Gangemi Editore, 2022), scritto con l’architetto Giovanna Massobrio. Già dal sottotitolo di questo volume di 400 pagine (“La casa, lo studio e il giardino di Calcata”) si capisce che i due autori raccontano la vicenda che li ha portati a vivere a Calcata, nella valle del Treja, in un primo tempo, come luogo in cui rifugiarsi nei giorni di festa e poi, mano a mano, come luogo in cui abitare in permanenza. La scelta di lasciare Roma è stato, paradossalmente, un atto d’amore verso la città, “per denunciare la perdita, provvisoria speriamo, del calore accogliente in cui le mura e gli uomini si confrontano e vivono in simbiosi”.

Paolo Portoghesi ha concesso un lungo colloquio all’Adnkronos in occasione dell’uscita della sua ultima opera, pubblicato dall’agenzia di stampa il 1 aprile 2022. “Il libro è il racconto di un’esperienza di vita vissuta – ha detto l’architetto nell’intervista – Il distacco dalla città è avvenuto gradualmente, mano a mano che Roma stava diventando quello che oggi è: una città splendida per chi arriva da lontano e difficile per chi ci vive, soprattutto per chi ricorda la città di 40 o 50 anni fa, quando Roma era una capitale della cultura e dell’arte. La scelta di Calcata, in ogni modo, è stato un atto di amore per Roma, perché i geologi ci raccontano che il Tevere prima dell’esplosione dei vulcani laziali passava nella valle Treja che presenta oggi un paesaggio molto simile, sia pure in miniatura, a quello in cui Roma è nata, nel IX-X secolo a.C.: un fiume, la campagna, i boschi di querce, i colli, i piccoli villaggi”.

A parte il significato personale, per me e mia moglie Giovanna la scelta di vivere in un piccolo centro è stata anche quella di vivere meglio, in modo più sano – continuava Portoghesi – Nel nostro tempo i contatti con la città e le manifestazioni culturali sono faciliate dai mezzi di comunicazione e non c’è più vivendo in un paese l’isolamento di un tempo. Alla crisi della città si deve reagire innanzitutto curandola – e questo è stato il mio principale obiettivo di architetto e urbanista – ma anche di denunciarne la decadenza”.

Se costruire è “un fare abitare”, secondo l’elaborazione del patriarca delle archistar italiane (anche se l’interessato non amava essere definito tale), Paolo Portoghesi e Giovanna Massobrio, trasformando dei fienili in una casa e dei lotti di terreno in un giardino, hanno realizzato la loro vocazione di architetti modellando lo spazio della vita “in funzione di una nuova alleanza tra l’uomo e la terra senza la quale la città e la terra stessa potrebbero perdere il dono, insostituibile, della abitabilità”.Nel ‘microsmo’ di Calcata c’è tutto il ‘macrocosmo’ teorizzato da Portoghesi nella sua lunga attività accademica, nella militanza prima con la rivista “Controspazio”, da lui fondata e diretta, e ora con la nuova rivista “Abitare la Terra”, e nella progettazione in giro per il mondo. Proprio nella casa e nel giardino della sua dimora nel borgo nel Viterbese, dove approdò per la prima volta nel 1974, sono confluite tutte le forme tipiche dell’architettura di Portoghesi, che qui ospita anche il suo studio e la biblioteca personale e dove infine ha realizzato ex novo un ‘giardino delle meraviglie’ curato con ammirevole dedizione dalla moglie Giovanna.

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