Il Pd ribalti l’urlo di Moretti o con intellettuali alla Annunziata e alla Saviano non vincerà mai

30 Mag 2023 17:03 - di Mario Landolfi
intellettuali

«Vittorini se n’è ghiuto, e soli ci ha lasciato!». Fu con queste parole, mutuate da una canzone napoletana, che nell’agosto del 1951, dalle colonne di Rinascita, Palmiro Togliatti salutò ironicamente la decisione dello scrittore Elio Vittorini di lasciare il Pci. Altri tempi, si obietterà, ed è vero: oggi non ci sono più né Rinascita né Togliatti, e neppure il Pci, rimpiazzato prima dal Pds, poi Ds, ora Pd. Esistono e resistono, invece, gli intellettuali. Certo, meno organici di quanto non fossero ai tempi del Migliore, ma forse ancor più condizionanti e più incidenti sulle sorti della sinistra. Al punto che nessun leader avrebbe oggi lo stomaco di sferzarli come fece Togliatti con il ribelle Vittorini, mentre è facile che accada il contrario.

La lezione di Togliatti

Ne fa fede il famoso «con questi dirigenti non vinceremo mai!» urlato da Nanni Moretti al tempo dei girotondi antiberlusconiani. Con Togliatti, con Longo (e con lo stesso Berlinguer) non sarebbe mai successo. Il regista di Ecce Bombo, invece, lo gridò ai quattro venti dallo stesso palco su cui stazionava la nomenclatura del partito. Una metamorfosi che ci impone di chiederci se non stia proprio in questo ribaltamento di ruoli la crisi della sinistra, la sua evanescenza politica e il suo inarrestabile sfarinarsi in un ogm tutto egemonia e niente consensi. Fateci caso: la “linea” al Pd, più che i suoi organismi statutari e i suoi dirigenti, la dettano giornalisti, conduttori, registi, attori, influencer, blogger e rapper. Una lista lunga quanto un obelisco egizio.

Dem sfigurati dai nuovi intellettuali

Non è un caso se da quelle parti Sanremo (inteso come festival) ha preso il posto delle Frattocchie o se l’endorsement di Chiara Ferragni vale più del voto dell’operaio Cipputi. Schiacciata da tempo sulla sua laicissima trinità – gender, clima, Europa -, la sinistra non intercetta più i bisogni reali delle persone, né ne comprende le paure. Decifra gli uni e le altre utilizzando i codici astratti degli intellettuali, ma senza alcun filtro politico. Solo così si spiega la pretesa di rimpiazzare il Quarto stato con il terzo sesso o di spacciare per emergenze patacche come il ritorno del fascismo, la lotta al patriarcato, il primato dei diritti Lgbtqia+, l’uso dello schwa, la legge sull’utero in affitto o il climate change. In un contesto, per altro, insanguinato dalla guerra e reso insicuro dalla lotta per l’affermazione di nuove egemonie su scala planetaria.

Gli elettori vanno via

Insomma, di lavoro per gli intellettuali ce ne sarebbe a iosa. Per quelli veri, almeno. Gramsci non ne faceva una questione di preparazione culturale. Tra penna, tornio e vanga non c’era differenza per lui. Intellettuale era chiunque fornisse coscienza e consapevolezza della propria classe. In tal senso, erano intellettuali organici soprattutto contadinioperai. E, salendo per li rami, i sindacalisti e, infine, i dirigenti del partito. Era forte di tale impostazione Togliatti quando liquidava con cinismo la defezione di Vittorini. Tra i due, il vero intellettuale era lui, il capo dei comunisti, in quanto interprete della concretezza del conflitto sociale. Una “superiorità” etico-politica che gli consentiva di contrapporre allo scrittore siciliano la «gente comune». Concetto, quest’ultimo, che la sinistra attuale ha ormai del tutto accantonato per inseguire le mode e i guru del momento. Non stupiamoci, perciò, se ad abbandonarla oggi non sono i Vittorini, ma gli elettori.

 

 

 

 

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