La Stampa sempre più ridicola: Atwood con l’ascia contro i “fascisti”. Ma in realtà ce l’ha con i censori woke

3 Mag 2023 10:44 - di Vittoria Belmonte

Bisogna capirli. Ossessionati come sono dal fascismo alla redazione della Stampa trasformano l’intervista a Margaret Atwood, autrice del “Racconto dell’ancella“, in una sorta di manifesto della neo-resistenza antifascista. Con richiamo in prima che esibisce una foto della scrittrice con in mano un’ascia e il titolo: “Io e quei fascisti ostili al sesso”. Dal che il lettore deduce che vi siano in Canada, dove la Atwood vive, dei “fascisti” che si danno da fare per censurare i suoi libri.

Ecco cosa dice davvero la scrittrice a proposito dei suoi libri banditi da una biblioteca scolastica nel Midwest: “Bandire i libri è un’attività che è sempre piaciuta a un certo tipo di persone, che così facendo sperano di arginare le idee e di allinearle alle loro”. A chi si riferisce? Nessun dubbio: questi “fascisti” altro non sarebbero che gli esecutori dei dettami della cancel culture o cultura woke. Roba genuinamente e autenticamente progressista che va per la maggiore in Occidente e che qualcuno vorrebbe importare, con scarso successo per fortuna, anche da noi.

Atwood dice anche un’altra verità di cui i censori nostrani dovrebbero fare tesoro: “Storicamente i libri banditi sono quelli più letti. Più si impongono restrizioni alle persone, più queste saranno invogliate a infrangerle. Anzi, è un’ottima pubblicità: bisognerebbe augurarsi che i propri libri vengano banditi, o cancellati, o bruciati se necessario, ed essere certi che venga fatto nel modo più pubblico possibile, così si sarebbe sicuri di avere dei lettori affezionati. Però è sempre successo e sempre accadrà”.

Non una parola, dalla Stampa, sul fatto che la Atwood, femminista vecchio stampo, ha difeso l’uso della parola “donna” contro il dilagare della moda gender. Fece discutere il fatto che l’autrice del Racconto dell’ancella, due anni fa, propose  ai suoi 2 milioni di followers il link a un articolo di giornale ( il Toronto Star ) dal titolo «Perché non possiamo più dire “donna”?». Secondo l’autrice, Rosie DiManno, il termine «donna» sarebbe «a rischio di diventare una parolaccia» e potrebbe alla fine essere «sradicato dal vocabolario medico e cancellato dalla conversazione». Criticava inoltre quella che le sembrava una «infelice evoluzione del linguaggio» e «l’attivismo trans impazzito». DiManno citava esempi come la Aclu, associazione pro-diritti civili americana, che per motivi di inclusività ha cambiato le parole della giudice Ruth Bader Ginsburg sostituendo «donna» con «persona», la British Medical Association che ha raccomandato al personale di utilizzare «persone incinte», invece di «donne incinte», e l’ospedale britannico che ha ordinato al personale del reparto maternità di utilizzare «persone che partoriscono», invece di «donne incinte».

Silenzio anche sul fatto che la Atwood criticò nel 2018 il movimento del #metoo, contro le molestie alle donne, che si stava trasformando in una caccia alle streghe dalla quale era opportuno prendere le distanze. Tutto dimenticato, per presentarla come una brava partigiana che combatte i fascisti con l’ascia… Che altro c’è da commentare?

 

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