L’inchiesta sulla famiglia della Meloni? Il nulla, solo un tentativo fallito di gettare fango

18 Mag 2023 10:35 - di Carmelo Briguglio
meloni

È giornalismo d’inchiesta? È giornalismo? Vabbè. Ve lo dico alla fine cos’è questa “cosa” contro la madre di Giorgia Meloni. Mi risponderò da solo; intanto mi sovvengono un po’ di cose: le confido solo ai miei otto lettori (erano quattro, sono raddoppiati). La prima. Perché i media di formazione “debenedettina”, antica e nuova, si sono messi a fare ‘sta roba? Mi incaponisco: io chiedo a me, più che agli autori, mentre nella vita reale si contano morti, sfollati, danni senza fine in Emilia Romagna.

L’ala di Merlo sfiora le bassure mediatiche contro la Meloni

Per ciò, si è alzato in volo un senatore illustre del regno “repubblichista”, il “trinacristo” (come me) Francesco Merlo (Repubblica, 16 maggio); il quale scoscende il suo bello scrivere a “non sense”, sfiora con l’ala le bassure mediatiche. Nessuna prudenza. Perché, a proposito di nascondimenti, non vanta la testata un “past” che nella bisaccia di dietro si porta quella storiaccia, speculata dai fogli cattivi del centrodestra, della casa acquistata in parte con “soldi in nero” nascosti al notaio della compravendita? Lo dico per appaiare veristiche brutture – mannaggia a loro – che l’acquario giornalistico produce, no? Suvvia, che frega a te – a noi, a tutti, delle due sorelle-sorellastre con cui il capo del governo non ha rapporti e non ne desidera? Vuole fare il tuo giornale da sensale per riunire vite separate? Nobile fine. Ma che c’entra con la vita associata degli italiani? Col governo della Nazione? Noto il lieve tocco: «Grazie a questa inchiesta – scrive Merlo – che avanza su Repubblica». Embè sì, che succederà? Ecco: «Senza nulla togliere alla sua innocenza che rimarrà certo intatta» – ah volevo ben dire – «prende infatti forma la forza di carattere e la sapienza di vita che stanno segnando una leadership inaspettata». E quindi ? «Io non vedo crimini finanziari e neppure grandi capitali ma la lotta testarda della piccola gente romana che teme la povertà»: ecco l’antropologia della signora mamma di Giorgia. Ma allora di che parlate? Tutto il casino per un concludere sinuoso, complimentoso?

Cappellini non scopre nulla dell’underdog Meloni, la elogia: ma allora?

Quasi uguale a quello di Stefano Cappellini (Rep, 15 maggio) che chiama “analisi” il suo pezzo titolato “L’underdog e il dovere della trasparenza”. Vi risparmio l’integrale matronale. Non c’è traccia di scoperte e desecretazioni. Dice tutto il finale: «Il dovere della trasparenza verso gli elettori é un pilastro della democrazia, la sua bellezza, la stessa che traspare nella storia di una ragazza di quindici anni che entra nella sezione semiperiferica di un partito per prenderne la tessera e diventa trent’anni dopo capo del governo di un paese del G7». Un elogio. Che volete dirgli ? Grazie. Oppure: ma perché questo – con Shakespeare – “Much Ado About Nothing”?

Dalla “squadra Gedi” accuse che non accusano

Cosa penso io di tutta questa non-inchiesta giornalistica che non fa tremare nessun polso? Che la squadra Gedi si sia posta l’obiettivo di attaccare la premier comunque; di provare a intimidirla; costruendo un’accusa che non l’accusa. Che accusa é non avere riportato nel suo libro di successo (“Io sono Giorgia”) gli atti integrali – questo volevano ? – di separazione, divorzio, affidamento delle minori, comparse avvocatesche della sua famiglia? Tutto di tutto, del tutto? Il non denudare al massimo relazioni, fratture, lacerazioni, ferite; vite azzannate dalla vita: tutti i particolari di vicende personali che di politico niente hanno; che sulla società e sulle istituzioni hanno incidenza zero; il paradosso: Meloni il libro doveva scriverlo così e cosà; ci doveva mettere più pagine intime: sono poche, insufficienti, carenti. Insomma avrebbero voluto scriverla loro la “biopolitica” di Giorgia. Beh, chi glielo impedisce? La possibilità c’e.

La controstoria di Susanna: Re Giorgia è fortunata

Anzi: c’è pure chi, sempre del giro “alumni debenedettini”, l’ha pazientemente ricostruita la “controstoria della donna che si é presa l’Italia” (Susanna Turco, “Re Giorgia”, pubblicato per Piemme da Mondadori Libri Spa, novembre 2022); promettendo molto con quel “ritratto non autorizzato di Giorgia Meloni”; ma acchiappando niente: perché niente c’è. Se non la richiesta di maggiori confidenze sul padre: Giorgia “doveva” arricchire il suo racconto di maggiori particolari; “doveva” vivisezionare quel padre-non padre, banale nella sua serialità con altri milioni di consimili umani. Per Susanna, Giorgia è fortunatissima; dal suo negare un incontro al genitore biologico Franco come “colpo di fortuna che ha consentito a Giorgia Meloni di dichiararsi totalmente estranea alla parabola del padre”; a quell’incendio della propria casa – altra bella botta della dea bendata; che dite: magari fosse capitato a voi – che trasferisce la famiglia dalla ricca Camilluccia alla Garbatella: “un passo fondamentale”- scrive Susanna – per trovarsi in un “humus ideale per far crescere la leggenda di Giorgia sola contro tutti”. Che dramma sarebbe stato per la Meloni, se l’appartamento non avesse preso fuoco, cavolo. Vi rendete conto?  Finale: la responsabilità della premier si riduce al lato “psico”: “L’ammissione che le ferite ci sono e pesano”. Che colpa, Dio! Così come a milioni di italiane e italiani. E allora? Che volete fare? Dargli qualche consiglio? Suggerirgli il vostro psicoterapeuta?

A lezione da Bacone e Plutarco: calunniate, qualcosa resta

Invece: sapete cosa credo io? Che il passo falso di prendere di mira, con qualche decennio di ritardo, una signora che tira su da sola due bambine; questo arrampicarsi su vetri e specchi, è un sacrificio professionale – anche etico – che la scuderia Gedi chiede alle sue prime firme; prega – non ordina, sia chiaro – loro di scrivere “qualcosa” tutt’intorno alla presidente del Consiglio; di striscio e di struscio: credendoci poco o niente(“; così intanto per seguitare Francesco Bacone: Audacter calumniare, semper aliquid haeret (“calunnia senza timore: qualcosa rimane sempre attaccato”) applicazione del plutarchiano: “jubebat autem suos audacter calumnias jacere, tamen calumniae cicatricem mansuram”. Traducetevelo da voi. Come si volesse strappare una replica truculenta alla premier; o appiccare, nel campo della destra, una comunicazione di fuoco per abbrutire lo scontro politico; e magari scatenare un “bellum incivilis” contro la libera e progressiva stampa, per effetto di una becera meccanica azione-reazione.

Stefano Feltri cacciato dal Domani: per De Benedetti era troppo morbido

La seconda: sul “Domani”, organo dell’Ingegnere-pensiero. Personalmente – dico la verità – Stefano Feltri, col suo argomentare livoroso e pretenzioso, non mi suscita simpatia. Anche nelle sue comparsate nel salotto della Gruber – più volte fatto a pezzi da Italo Bocchino – emana percezioni di fastidiosa saccenteria. Quindi, non mi ritrovo ad assumerne le difese. Ma mi sono chiesto perché il patron De Benedetti lo abbia cacciato dall’oggi al domani, dal “Domani”. Il profilo inquirente del sostituto – l’ex vice Emiliano Fittipaldi –  mi aveva dato qualche indicazione. Poi, quando è iniziato sul giornale il romanzo a puntate sulla mamma della Meloni ho avuto la conferma. A De Benedetti non piaceva l’opposizione di Feltri alla premier: dura sì, eccessiva anche – credo di essere obiettivo – ma pur sempre “politica”; argomentata, boriosetta, ma sempre corredata da ragionamenti e analisi economiche in cui Feltri si sente molto versato. Troppo morbida per i fini gusti di don Carlos (“Quella figurina del nostro primo ministro…dimostra demenza”).

L’opposizione alla Meloni, colpisci duro altrimenti…

Ma Stefano non era stato invitato, qualche anno fa – insieme alla da sempre “debenedettina” Lilly che lì conta – a partecipare all’esclusiva convention annuale del magico mondo di Bilderberg? Una carta di credito che non faceva certo presagire la cacciata del giovane direttore. Il quale ha fatto capire – ma perché non dirlo in modo chiaro e forte? – che l’ha subìta come uno schiaffo padronale: un’umiliazione immeritata che, nella sua psiche da “primo della classe”, ha preso come offesa contra personam. Sono certo che l’ex direttore ce ne svelerà tutte le ragioni in un prossimo libro, capitalizzando questa vicenda negativa: é giovane, gli servirà a fortificarsi, se posso permettermi. “A me sembra che Giorgia Meloni, dalla quale mi divide tutto, sia una persona che si è mossa con grande prudenza. Non ha mai forzato le tappe o cercato di trasformare il consenso nei sondaggi in immediato potere elettorale” aveva scritto Feltri prima che la Meloni arrivasse a Palazzo Chigi. “Sicuramente cresce, vedremo quando il tutto sarà misurato in termini di voti e come sceglierà di usarlo”: ha visto. Ma questa prosa rispettosa, quando Giorgia divenne premier, diventò sempre più aggressiva: era sollecitata. Spinta. Dal patron. Fino al licenziamento: mancava il sangue e l’Ingegnere lo ha mandato. Ora la svolta col nuovo direttore. E l’inchiesta sulla famiglia della premier. I due riti para-giudiziari “debenedettini” convergono. Lei intanto è al lavoro, al G7 di Hiroshima, col filo diretto al disastro di Bologna e dintorni. Ha altro a cui pensare. E io ho finito: vi è chiaro tutto, adesso ? Bene: che il dossieraggio continui. Finirà; nel suo nulla.

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