Sansonetti paragona Meloni a Soumahoro: linciati dalla stampa nemica. Ma l’accostamento è offensivo
Nella foga di far notare la sua Unità, appena ritornata in un po’ di edicole e online, il direttore Piero Sansonetti si lancia in paragoni scombiccherati. Insomma tenta la strada dell’ardita provocazione. Prende spunto dal fango gettato a piene mani sulla famiglia Meloni, e in particolare sulla madre, dai giornali nemici del governo e tira fuori la vicenda Soumahoro. Anche lui – scrive Sansonetti – linciato mediaticamente “per via della suocera accusata di avere gestito male alcune strutture di accoglienza ai profughi. Non sappiamo se la suocera di Soumahoro sia colpevole o innocente. Lei dice di essere innocente. Sappiamo però che Soumahoro non è stato accusato assolutamente di niente. E’ stato solo linciato gratuitamente: tutti quelli che oggi giustamente si indignano per l’attacco giustizialista a Giorgia Meloni, allora si misero alla testa delle orde giustizialiste. Gridando la frase che da trent’anni è la bandiera di quelli che amano le forche: “Non poteva non sapere!”.
Una tesi suggestiva ma illogica
La tesi è suggestiva ma logicamente non regge. L’unica cosa che accomuna i due è che Soumahoro, come Meloni, non è iscritto nel registro degli indagati. Ma poi tutto diverge: Meloni non ha rapporti col padre da quando era piccola e sua madre non è indagata, Soumahoro (non indagato) invece è andato in tv a difendere il diritto al lusso della moglie (indagata anche lei, mica solo la suocera) e a dire di avere comprato una villetta con la moglie con i diritti del libro da lui scritto. Quanto al giustizialismo, Sansonetti non fa che copiare quanto già scritto da un direttore di destra come Vittorio Feltri: non è giusto accanirsi contro Soumahoro sostituendosi ai giudici. Ma il problema del caso Soumahoro è tutto politico prima ancora che giudiziario: il deputato di Sinistra-Verdi (che ha deluso anche il suo stesso partito) ha costruito il suo personaggio sulla retorica dell’accoglienza e dei diritti dei migranti, si è fatto fotografare con gli stivali da bracciante sporchi di fango e si è eretto a osservatore delle condizioni dei lavoratori migranti sfruttati salvo poi girarsi dall’altra parte quando erano i suoi congiunti a sfruttarli.
Il giustizialismo e la macchina del fango
Tra l’altro un conto è il giustizialismo (contro cui Sansonetti opportunamente dice di volersi battere), un altro è la macchina del fango. Nel primo caso si mira a giudicare già colpevole chi è solo sottoposto a indagine. Nel secondo si punta a distruggere la reputazione di un personaggio in vista anche in assenza di un’inchiesta o di un’ipotesi di reato. Nessuna delle due è una cosa bella, ma la seconda fa decisamente più schifo.