Saviano chiamò “galoppino” Sangiuliano, il ministro farà ricorso dopo la sentenza che assolve lo scrittore
Roberto Saviano non ha diffamato il ministro Gennaro Sangiuliano. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma che ha rigettato la richiesta di risarcimento danni per diffamazione a mezzo social network per due post dello scrittore del 31 ottobre 2018. Saviano definì Sangiuliano come “galoppino di Nicola Cosentino“, di fatto adombrando un qualche collegamento con la camorra visto che Cosentino è stato condannato come referente dei Casalesi.
Affermazioni che per il tribunale rientrano nel diritto di critica. Ovviamente Roberto Saviano sbandiera questa vittoria come una sorta di patente che lo legittima a stabilire chi è mafioso e chi non lo è e infatti nei suoi consueto deliri chiama in causa anche la premier: “Giorgia Meloni non ha nulla da dire al riguardo?“, si chiede commentando la sentenza che gli ha dato ragione. Ma è chiaro che i suoi attacchi sono scopertamente strumentali visto che a sua volta Saviano è a processo per avere dato della “bastarda” a Giorgia Meloni.
Il legale del ministro Sangiuliano, Silverio Sica, ha in ogni caso annunciato ricorso, spiegando che il giudice non ha voluto verificare che i rapporti tra l’attuale ministro e Cosentino erano tutt’altro che buoni: «La sentenza, lo dico ironicamente, è istruttiva – commenta Sica – perché dice che si può parlare di `galoppino´ senza recare offesa, in quanto il termine sarebbe una critica politica aspra, pungente ma consentita e tutte le connotazioni negative scompaiono. Ci sembra che a questo proposito Saviano – aggiunge l’avvocato – goda di un privilegio rispetto ad altri italiani. Abbiamo chiesto specificamente al giudice di verificare un pregresso in merito ai rapporti tra il ministro e Nicola Cosentino, che non solo non erano cordiali ma di ostilità, e questo non è stato fatto. Viene dato come fatto notorio che Sangiuliano fosse in continuità con Cosentino, fino alla definizione di `galoppino´ e non è stata ammesso come prova il fatto di aver chiesto di dimostrare con una missiva che al contrario il rapporto era di malanimo. Tutto questo è infondato ed offensivo – conclude Sica – e per questo andremo in appello, sperando di trovare un giudice meno disponibile a spingere il diritto di critica fino alla definizione di galoppino».