Addio a Gaetano “Ninì” Cafiero, cronista di razza del Secolo: una vita avventurosa da cowboy degli abissi
Ogni tanto lo vedevamo arrivare al Secolo, quando passava a trovare la sua Mirella, portandosi via, per un caffè volante, la nostra adorata segretaria di redazione che, per la maggior parte di noi, era una specie di Mamma protettiva e sempre presente, e lasciandoci orfani per qualche ora di quella donna molto bella, di gran classe, elegante e sempre sorridente di cui eravamo perfino un po’ gelosi, il perno fondamentale intorno al quale ruotava l’organizzazione quotidiana del giornale.
Lo precedeva la sua fama ed i racconti quasi leggendari che giravano su di lui, le sue frequentazioni con attori, attrici, personaggi dello spettacolo. E questa sua abilità di subacqueo estremo che era divenuta, ad un certo punto, un tutt’uno con la sua professione di giornalista e fotografo.
Gaetano “Ninì” Cafiero, (nella foto con Enzo Maiorca e, a destra, il giorno del matrimonio con Mirella Di Poce) giornalista di gran razza, mancato domenica scorsa nella sua Roccastrada, incastonata nell’abbagliante Maremma Toscana dove si era ritirato, dopo la pensione, con il travolgente entusiasmo di un bambino, assieme alla moglie Mirella e alle figlie Januaria e Barbara, aveva l’aria di un uomo coraggioso e anche il phisique du role di quei giornalisti che c’erano un tempo, sempre in viaggio, dove c’era l’avventura da vivere e da raccontare, senza timori, in prima persona: fascinoso, alto, con un fisico sportivo e ben piantato, aveva uno sguardo un po’ da canaglia cinematografia con quella faccia da tombeur de femme.
Aveva viaggiato in giro per il mondo, era stato praticamente ovunque, seguendo le notizie e quella curiosità caratteriale, sanguigna, che i giornalisti, quelli veri, devono necessariamente avere per poter portare a casa un’informazione non conforme né appiattita, il “pezzo” diverso e sorprendente.
“Non so in quale posto del mondo non sia stato – ricorda la figlia Januaria – ritornava a casa con centinaia di fotografie. Ed erano serate con il proiettore a riavvolgere il nastro dei suoi viaggi”.
Si favoleggiava ch’era stato a Cuba, in periodi per nulla facili, per fare immersioni da raccontare sui giornali e sui magazine per i quali scriveva prendendo per mano il lettore e portandolo in fondo al blu degli abissi con quell’abilità nella scrittura che è un dono del Signore e che non tutti hanno, quella scrittura che ti fa essere parte, e a volte anche protagonista, del racconto.
Per un certo periodo Ninì Cafiero, nato Gaetano a Napoli nel ‘37, aveva lavorato come giornalista al Secolo occupandosi di cronaca e politica estera. Era certamente un cronista molto molto versatile.
Una foto in bianco e nero lo ritrae in piedi accanto al presidente egiziano Mubarak, elegantissimo in doppiopetto scuro, con un baffo nero, affilato e assassino.
In altre foto è con attori, attrici, personaggi dello spettacolo: Florinda Bolkan, Nino Manfredi, Renzo Arbore, con un cappello texano da cowboy che lo fa incredibilmente assomigliare a Clint Eastwood.
A cavallo fra gli anni 60 e 70 Gaetano “Ninì” Cafiero aveva lavorato, occupandosi di spettacoli e società, per Lo Specchio, uno dei principali settimanali di quegli anni, fondato da Giorgio Nelson Page, e che ospitava le firme di Giano Accame, di Pier Francesco Pingitore e di molti altri nomi noti del favoloso giornalismo di quel periodo quando la Dolce Vita riempiva le pagine di Quotidiani e settimanali.
Fra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80, Ninì era passato al Settimanale, la rivista fondata da Edilio Rusconi e diretta, all’epoca, da Massimo Tosti, un altro giornalista di quelli con gli attributi.
E, ad un certo punto, Ninì decise di dare più spazio alla sua passione e di tuffarsi letteralmente in quell’avventura che è la fotografia subacquea accompagnata dai testi.
Dalla Capitale – vi aveva vissuto per un quarto di secolo – si era trasferito a Milano.
Scrisse per Mondo Sommerso, Sesto Continente, pubblicò una decina di libri sul mare e la subacquea. Divenne vicedirettore della rivista Sector No limit, una specie di Bibbia degli sportivi più ardimentosi e rudi.
“Era un giornalista molto poliedrico, si occupava di vari argomenti ma, in particolare di subacquea, di societa, di politica internazionale”, lo ricorda l’ex-direttore del Secolo, Gennaro Malgieri.
Nella quarta di copertina delle decine di libri che ha scritto sul mare – la sua prima passione – Gaetano “Ninì” Cafiero amava ricordare che aveva messo la sua prima maschera subacquea nel 1945, a 8 anni. E, da lì, non aveva più smesso di andare sott’acqua.
Altre foto, in bianco e nero, lo ritraggono assieme ad Enzo Maiorca, a ridosso di una parete rocciosa che si tuffa nel mare, entrambi con indosso la muta subacquea nel corso di una delle tante immersioni del celebre apneista italiano detentore di innumerevoli record. Altre foto, con Jacques Mayol, il collega-rivale di Maiorca. Sempre a raccontare il mare, la subacquea, le immersioni, da più prospettive.
Accanto alla passione per il mare e la subacquea, Gaetano “Ninì” Cafiero ad un certo punto aveva dato spazio anche a quella per i cavalli che amava moltissimo, da sempre.
Aveva lasciato così Milano per trasferirsi a Roccastrada, rapito dalla Maremma toscana, terra di butteri e di cavalli maremmani (“Poca biada, molta strada,
ombra indomabile e brada,
selvatico e tenace, forte e fiero”, li descrive il cantautore Giovanni Lindo Ferretti), assieme a Mirella, seguendo le figlie, Januaria e Barbara ch’erano andate lì, nella terra dei butteri, per lo stesso motivo.
E lì si era avvicinato al fascino della monta maremmana, la monta da lavoro, il lavoro tradizionale dei butteri dell’Alberese che aveva raccontato in alcuni articoli.
Era un uomo curioso e appassionato, mai sazio di avventure da raccontare.
Se ne andava in giro a cavallo per la Maremma assieme ai suoi amici butteri, con Giulia e Roberto, due dei suoi cavalli a cui ero affezionatissimo.
Ogni tanto si fermava, quel gruppo di uomini variamente assortiti, si buttavano a dormire dove capitava legando i cavalli lì accanto, come si faceva un tempo quando le comodità e le mollezze non esistevano.
“Aveva amici veri, sinceri – dice ancora Januaria. – Teneva banco, intavolava mille argomenti”. Si parlava per ore.
Gli bastava il coltellino tascabile, e il fornelletto che si portava appresso sul cavallo.
La mattina si facevano il cappuccino con il latte appena munto dalle mucche che incontravano. Altro che il Far West di Hollywood.
Restavano fuori giorni assaporando quella libertà virile e un po’ selvaggia che ti fa sentire vivo.
Qualche giorno fa Gaetano “Ninì” Cafiero è tornato alla Casa del Padre. È andato a riabbracciare la sua dolcissima Mirella che lo aveva preceduto il 12 gennaio del 2022.
Ce lo immaginiamo tuffarsi, felice, per l’ultima volta, nel blu. E non riemergere più. Buon mare, comandante.