Arcangeli fa l’identikit del linguaggio di Giorgia Meloni: ecco perché piace agli italiani
Un linguaggio originale che non ha padri né maestri. Chiarezza dei temi, il romanesco come vezzo, l’invenzione di neologismi come “nomadare”, grande ritmo con le giuste accelerazione e decelerazione. Intervistato da La Verità, Massimo Arcangeli, traccia l’identikit del linguaggio del premier Meloni. Che ha scandagliato nel suo ultimo Melonario per Castelvecchi editore. Pregi, tanti, difetti, pochi.
Meloni tiene più di chiunque il filo del discorso
“Ho ascoltato centinaia di discorsi a braccio di Giorgia Meloni verificandone la capacità di tenere il filo del discorso”, premette il docente di Linguistica italiana all’Università di Cagliari. Linguista controcorrente, studioso attento del vocabolario dei premier politici, poco amato dal mainstream. “Lei sa controllare l’esposizione per un tempo molto più lungo degli altri politici contemporanei. Per trovarne qualcuno con la stessa capacità bisogna risalire a Bettino Craxi, Enrico Berlinguer o Aldo Moro”.
Non è l’erede né il successore di Berlusconi
E il confronto con Berlusconi? Meloni non è né erede né successore. “Lui era un imprenditore visionario, lei una militante da sempre. Retroterra che non collimano”. Però entrambi sanno interpretare i bisogni della gente comune e di parlare alla pancia del Paese. “È quella percezione nazionalpopolare della politica che la sinistra non ha saputo fare propria. Diventando radical chic e fallendo gran parte dei suoi obiettivi”.
Termini tratti dalla fantasy e dal Risorgimento
Arcangeli smentisce molti luoghi comuni sull’origine di alcuni termini ricorrenti nei discorsi del presidente del Consiglio. Ci sono espressioni tratte dalla cultura cavalleresca che, per qualcuno, erano di derivazione fascista. “In realtà, sono eredità della cultura risorgimentale. E, andando più indietro, dell’immaginario letterario e cinematografico di Tolkien e del fantasy che Meloni ha fatto proprie”.
Nessun ricorso a vocabolo fascisti
Anche il ricorso ai termini nazione e patria non hanno origini nel Ventennio. “Nazione compare nella nostra Costituzione, patria è un termine di alveo risorgimentale. Chi insiste sugli echi fascisti di questi vocaboli non conosce la storia”. Strategiche e sintomatiche alcune scelte meloniane. “Gli appunti di Giorgia”, per esempio. “In quel modo mandò un messaggio di trasparenza. Non ho niente da nascondere, vi mostro la mia agenda, come sono realmente”. Da premier, va da sé, anche il linguaggio si istituzionalizzato. È più ecimenico, i toni sono smussati.
Il confronto vicente con Elly Schlein
Il confronto linguistico con Elly Schlein è impietoso per la leader del Pd. “Se devo prendere appunti di quello che dice Giorgia Meloni trascrivo poco, perché capisco gli snodi del ragionamento”, dice l’autore del dizionario meloniano. “Se parla Elly Schlein sono costretto a trascrivere tutto e poi, alla fine, rileggendo, stento a fare la sintesi. Lo ha detto anche Concita De Gregorio: rileggi, ma il titolo non salta fuori”.
Il neologismo “nomadare” e l’avverbio sommessamente
“Se dovessimo redigere un vocabolario delle nuove parole o dei tormentoni inventati da politici nell’ultimo ventennio il primato spetterebbe a loro (Berlusconi e Meloni). Con “cribbio”, “mi consenta” e “l’Italia è il Paese che amo” abbiamo tutto Berlusconi. Per rappresentare Meloni citerei l’avverbio “sommessamente”. Che usa spesso e in varie sfumature, Oppure il neologismo “nomadare”, in riferimento all’azione dei nomadi, entrato nella Treccani”.