Beatrice Venezi le “suona” alla Ferragni: «Basta donne mezze nude sui social, il talento è altro…»
Beatrice Venezi, direttore d’orchestra e consigliere musicale del Ministro della Cultura Sangiuliano, è tra i nomi papabili alla successione di Stèphane Lissner al Teatro San Carlo di Napoli. Non ha avuto modelli femminili da cui prendere esempio per la sua professione, ma uomini controversi e geniali del calibro dell’ammirato maestro Carlos Kleiber e Leonard Bernstein. Con quest’ultimo ha in comune la generosità con cui divulga un suo modello che ispirerà tante giovani donne che vorranno studiare direzione d’orchestra, o comporre musica, un aspetto creativo non solo riservato agli uomini, per essere ricordata nel tempo. Le donne che dal XII secolo in poi sono state presenti nella composizione della musica, considerate figure minori perché più indicate a dover ricoprire il ruolo di angeli del focolare, hanno ancora oggi il diritto di trovare un giusto spazio nella memoria collettiva. Beatrice Venezi con la sua bacchetta, i suoi libri, la sua musica e la sua presenza scenica, si fa portavoce del ruolo attivo delle donne nella musica classica di oggi, anche come compositrici, e di queste donne del passato che con le loro storie possono ancora scardinare e influenzare la vita culturale degli ultimi secoli e darvi un contributo potente.
Maestro, lei si è sentita più sostenuta da uomini o da donne nel suo percorso di formazione e nel suo lavoro?
“Per quello che riguarda il lavoro d’orchestra, ci può essere stato qualche cliché da superare, ma l’orchestra è un organismo meritocratico, quando riconosce la qualità dell’artista che ha davanti a sé accetta immediatamente la leadership di un direttore d’orchestra sulla base di ciò che trasmette, di come si pone. Nel resto del mio percorso sono stata sostenuta allo stesso modo sia da uomini che da donne, devo dire la verità, perché i miei collaboratori sono appunto tanto uomini quanto donne”.
Le donne quindi sono finalmente pronte a fare squadra? Ci sono tante donne straordinarie che finalmente stanno raggiungendo gli opportuni traguardi. C’è ancora qualche cosa che manca o crede ci sia ancora da fare sul piano della solidarietà femminile?
“Credo che quando una donna è sicura di sé non ha nulla da temere e sa gestire certe situazioni e che questa capacità sia insita, risieda tra le proprie qualità. Una donna serena e sicura di sé non ha necessità di fare sgambetti ad un’altra donna, anzi ne riconosce il valore, se può offre opportunità e sa fare squadra. Per cui dipende esclusivamente non dal genere, ma dall’intelligenza della singola persona”.
E’ stato più faticoso raggiungere il ruolo di direttore d’orchestra, studiando e confrontandosi con il suo mondo, dunque, oppure è stato più faticoso dover invitare continuamente la gente a usare la testa per superare le mode ideologiche, come le definisce Marcello Veneziani?
“E’ una bella sfida. La difficoltà maggiore che riscontro è il far superare veramente le barriere ideologiche che ci sono. Si parla così tanto in questo periodo di cultura libera, libera da tessere di partito, di vivere la libertà di pensiero e di espressione di ciascun artista, senza la necessità di appartenere a qualcosa di definito e di confluire in un pensiero unico. Direi che la vera sfida in questo momento è proprio quella e forse anche l’ostacolo maggiore che del resto riscontro anche nel mio lavoro. Alcuni giorni fa ero ospite da Nicola Porro e c’era il professor D’Orsi che insisteva nel dire che i pensatori e gli studiosi, uomini o donne della cultura di destra, non si sono estinti perché non ci sono mai stati. Con queste premesse è un pò difficile costruire un dialogo. Questo non è semplice pregiudizio, ma un preconcetto ideologico legato ad una presunta superiorità di una certa parte politica in termini intellettuali, culturali, morali e sociali, in barba alle tanto sbandierate professioni di fede democratica”.
Lei maestro porta anche un messaggio quando muove la sua bacchetta dal podio dei teatri di tutto il mondo. Cosa le chiedono nei paesi dove le libertà più semplici alle donne vengono negate? Di vestirsi secondo loro in modo più appropriato, di non indossare i tacchi, di legare i capelli?
“In effetti avrei dovuto fare un concerto a Teheran nel 2019. Poi ci fu la recrudescenza degli scontri, quindi l’ambasciata mi consigliò caldamente di cancellare l’evento. In quella occasione avrei dovuto dirigere con il velo, si sarebbe trattato di una forma di rispetto della cultura locale e in questo senso mi sento sempre di essere rispettosa dei luoghi dove vado e delle persone con cui mi confronto, per cui se mi viene chiesto di indossare un certo outfit o delle norme sul galateo, mi adeguo per il paese che mi ospita. Poi è una cosa che si pretende anche a casa propria, questa è una piccola nota. La prima volta che andai in Giappone, mi chiesero se era possibile dirigere indossando qualcosa di più maschile. Lì feci un lavoro di diplomazia, senza dire no, ma cercando di spiegare le mie motivazioni. Alla fine compresero il motivo della mia scelta del mio abito femminile e lo accettarono”.
Anche in casa nostra ci sono situazioni più o meno accettabili. Diciamo di essere aperti, ci riteniamo all’avanguardia, invece piovono addosso ad una donna come lei tante critiche. Una bella donna, colta, brava e di successo, dà fastidio. Come prende questa cosa?
“Ma sì, la critica sui miei capelli mi fa sorridere, la trovo piuttosto patetica. Chissà perché è così difficile da comprendere nel 2023 che una donna che cura il proprio aspetto esteriore può anche aver curato il proprio intelletto, la propria formazione culturale. Siamo ancora fermi al modello di donna o di uomo, di artista, o di persona di cultura che deve essere trasandato. Questa visione ormai non sta più al passo con i tempi in alcun modo e a prescindere sembra che una donna di successo dia fastidio in qualunque ambito. Il mio settore poi è molto conservatore ed elitario, un pò snob, e tutto quello che è innovazione viene visto con sospetto. Infatti il rischio sono i teatri vuoti e io personalmente invece ho sempre sale piene”.
Cosa ne pensa della spiegazione che ha dato Chiara Ferragni alla campionessa di equitazione di 11 anni: “Nessuno ci può e ci deve giudicare”, quando ha espresso il suo pensiero sul fatto che sembrava che l’influencer stesse, attraverso la sua foto, consigliando alle adolescenti di posare seminude sul web.
“Mi fa piacere che questa ragazzina abbia fatto questo commento sinceramente. Perché le giovani di oggi hanno bisogno di ben altri punti di riferimento e ben altri modelli a cui ispirarsi, non donne mezze nude sui social. Questa è mercificazione del proprio corpo e con questo non sto dicendo di censurare, perché spesso si fa questo errore: dico che “il corpo è mio e lo gestisco io” – un po di retaggio sessantottino – però poi c’è il buon gusto che va considerato, come anche il messaggio che una donna possa guadagnare solo attraverso il proprio corpo. La trovo una cosa sbagliatissima. Invece questo è il modello che principalmente da tanto tempo viene promosso. Sento che c’è bisogno di creare una coscienza collettiva per le giovani rispetto a quelle che sono state le grandi donne della storia, nel mio caso penso alla storia della musica. Ho dedicato non a caso a questo tema il mio secondo libro Sorelle di Mozart, proprio per far sapere che ci sono delle storie che sono rimaste fuori dai libri scolastici, dai grandi manuali. Storie che non sono state raccontate e non si sono volute raccontare, perché in qualche misura avrebbero sovvertito l’ordine delle cose e rimesso al centro il genio, il talento femminile. Grandi donne che hanno scolpito letteralmente il proprio tempo in ogni ambito. Queste donne dovrebbero essere reinserite nei libri, tanto per cominciare nei libri di scuola. Poi se ne dovrebbe fare più ampia divulgazione per chiarire che anche l’eccellenza delle donne non è un’eccezione. Credo che questo sarebbe fondamentale nella costruzione di una nuova consapevolezza femminile”.
Che esempi femminili e maschili ha avuto nella sua vita, da piccola, nella sua formazione, durante il lavoro e mentre diventava direttore d’orchestra?
“Sicuramente in primis i miei genitori, una coppia di genitori con un grandissimo rispetto reciproco. Non c’era un ruolo primario e uno secondario, una subalternanza fra loro. Mi hanno ispirato alla curiosità al non accettare la notizia preconfezionata, mi hanno educato all’approfondimento, a studiare, a farmi un’idea personale. Questi sono stati per me i fondamentali. Poi è arrivata la musica, sono arrivati i grandi esempi musicali che ho seguito, che mi hanno dato la direzione. Non mi ha turbato molto il fatto di non aver avuto modelli femminili quando ho iniziato, non era una domanda che mi ponevo, credo grazie al fatto che avessi un maestro d’orchestra come Piero Bellugi. Da quando ho iniziato a studiare con lui non ha mai menzionato la possibilità di una differenza di genere o il fatto che fosse una cosa inedita vedere una donna che studiava la direzione d’orchestra. Per cui mi sono cullata, almeno per i primi anni, nell’idea che ciò fosse una cosa normale”.
Aveva eventualmente un piano B se non avesse fatto il direttore d’orchestra oppure il piano A doveva funzionare a tutti i costi?
“Quando dico che quello è il piano A e che deve funzionare, quello funziona. Fa parte del mio carattere e sicuramente è servito essere molto decisa e volitiva ai limiti del testardo”.
Parliamo delle donne in politica. Per la prima volta due donne nel nostro paese, una a capo del governo e una a capo dell’opposizione. In molti altri paesi del mondo le donne al vertice erano già arrivate da tempo. Non è stata la nostra politica a vederle, ma gli elettori. In comune hanno la militanza e la tenacia, forse, per il resto sono molto diverse. Pensa davvero che il nostro paese sia già così evoluto e pronto ad accettare una donna a capo di un partito?
“Viviamo un momento un pò particolare, una società in evoluzione però non tutto può cambiare così velocemente dall’oggi al domani. Credo che la premier sia riuscita in un’impresa storica per questo avrà sempre gli occhi di tutti puntati addosso. L’unico rischio che vedo è che se mai dovesse non funzionare qualcosa anche di infinitesimale, sarebbe usato come scusa per dire che una donna non può riuscire in questo settore. Lei è un grande esempio, un modello di riferimento che nel bene ma anche nel male può incidere su tutta la categoria femminile, dato che è la prima che riesce in un’impresa del genere. Giorgia Meloni e la Schlein sono diametralmente opposte, non solo politicamente ma anche riguardo all’immagine, alla vita privata, alla tipologia di leadership che mettono in campo, alla sicurezza che veicolano con ciò che dicono o che fanno, e questo poi influisce nella valutazione. Sono però due leader che modificheranno il concetto e la percezione del ruolo della donna. Mi auguro per entrambe che riescano nel loro compito, per non fornire la scusa a tutta una serie di uomini di dire che sarebbe stato meglio non mettere una donna in quel ruolo”.
Il Presidente Giorgia Meloni alcuni giorni fa, in un clima disteso, ad un convegno al Senato ha detto: “Nazione e Patria. Idee ritrovate”. Glielo dico a proposito di una sua battuta che aveva creato un certo scompiglio. Le stesse parole dette da lei, in quanto anche suoi valori, hanno suscitato reazioni spropositate.
“Credo sia ora di accettare e far pace con la propria memoria storica. Tutto sommato questi sono valori mazziniani ed è stato anche lo slogan che utilizzava la DC. Si continua ad inventare una trama ideologica e questo è sintomatico di un paese che non accetta la sua storia. Dio è una questione personale, ci mancherebbe, anche se il cristianesimo è tra le religioni più tolleranti in assoluto. Il concetto di padre e di famiglia ci riportano al nucleo da cui hanno origine le nazioni, non lo dico io ma gli studiosi. Dalla famiglia si enuclea la società, la comunità, con il senso di cittadinanza che abita una nazione, che si definisce tale sulla base dei valori di un popolo. Questi sono concetti anche abbastanza trasversali”.