Berlusconi ha fondato la Seconda Repubblica. E quella cacciata dal Senato fu una pagina buia

13 Giu 2023 10:48 - di Carmelo Briguglio
berlusconi

Berlusconi se n’è andato. In altra vita, sono stato per lungo tempo anti-B; fui, con altri, avanguardia cacciata dal partito unico del centrodestra, ancor prima di Gianfranco Fini: ma dopo anni – espulso, estromesso, dossierato – non gli serbavo rancore. Finita l’avventura di Futuro e Libertà, feci i conti con gli errori commessi e quelli subiti. Il resto lo ha fatto il tempo che pialla gli eccessi e le asprezze; fa il concambio di quelle date e di quelle ricevute. Un giorno non lontano ne scriverò, in compiuta ed estesa forma.

Berlusconi cacciato dal Senato: pagina buia

Dieci anni fa ho scritto della cacciata di B. dal Senato: di un leader eletto dal popolo; pagina inedita e buia della nostra Camera alta. E della Repubblica. Soprattutto di quel presidente di Palazzo Madama – era Pietro Grasso – che avallò l’applicazione retroattiva di una legge di “dopo” per un fatto di “prima”. Fu inciviltà; politica, giuridica; contra personam, oltre misura: oltre il limen dei diritti politici. Da non passare mai. Di un’aula cattiva, del suo giudice-presidente: di parte, inadeguato; fu una macchia; resta: a lui, a chi la volle, a chi la votò. E un errore politico della sinistra; grave, da daimon stalinista. Ma la morte lava anche questo.

Il Cavaliere ha fondato la Seconda Repubblica

Cosa resta di Berlusconi? Qual è il suo lascito? Il diorama delle risposte possibili è ricco. Due sono importanti per chi come me la politica la ama; la scrive, la studia. Dopo averla lungamente fatta. È lui il fondatore della Seconda Repubblica? Sì: è un dato temporale; incontestabile per sua stessa natura; storico, come sarà storicizzata la vicenda sua, politica e personale; nel bene e nel male, si usa dire; perché ognuno ha un suo giudizio sulla persona. Ma il segnacolo tra il suo “prima”e il suo “dopo”, tra l’ante e il post Berlusconi è un fatto: della storia italiana; rimane, a chi resta. Alla politica e alla vita pubblica, alle istituzioni e alla società: alla Nazione.

L’alternanza ha cambiato la democrazia italiana

Cosa rimane di suo heritage positivo? Il bipolarismo politico. Che si cita spesso con liquidatorio dire e fare. Tanto per ammettere qualcosa; per concedergli un minimo. E invece il bipolarismo fu ed è grande cosa: è stato cambiamento profondo della democrazia italiana. Una rivoluzione: pacifica e civile, accettata e capita; da tutti: dai politici e dal popolo. Anche quello piccolo, minuto, del quotidiano. O di qua o di là, vincere a turno è comune Ragione: è semplice, essenziale. È parabola del diuturno vissuto di ciascuno. Il bipolarismo contiene un quid unico: è ricetta che ha valore per tutti. E dà un’opportunità a tutti. Alle forze politiche, alle loro coalizioni; e ai loro elettorati, alle loro comunità politica, ai loro “popoli”: vincere alternandosi, mai per sempre: una volta l’uno, una volta l’altro. Il bipolarismo ha fatto vincere il centrodestra e chi lo guidava, cioè Berlusconi che quasi trent’anni fa lo ha inventato; per se stesso, certo, come sappiamo. Di questo si è detto e parlato in lungo e largo; con dovizia di particolari; con cura del dettaglio: politologico e non soltanto.

La sinistra ha fruito del bipolarismo berlusconiano

Ma un quid non si dice mai: Berlusconi ha aperto le porte del governo anche alla sinistra; alla gauche post-comunista. Che, fino alla sua discesa in campo non era mai arrivata al governo del Paese. Il Cavaliere vinse le elezioni del 1994, ma perse nel 1996. Perché il polo progressista si aggregò intorno a Prodi che portò la sua coalizione “left” ad arrivare prima. Cioè Silvio fece vincere Romano; e “i comunisti”; con lo stesso sistema che aveva ideato lui; con i candidati premier in campo: visibili, annunciati, stampati. E protagonisti nei duelli in tivù. Con Prodi prevalse il ceto politico che era stato del Pci: Napolitano, Bersani, Veltroni, Visco, Turco, Finocchiaro diventarono ministri; insieme al nemico numero uno di B: Antonio Di Pietro. E così ancora dopo: nel 2001 il centrodestra; nel 2006 il centrosinistra. Nel 2008 di nuovo il centrodestra, con Berlusconi ancora premier; il resto lo sapete. Il bipolarismo fu e resta democrazia; allo stato puro: perché é alternanza: tra due campi; tra visioni, tra classi dirigenti; tra candidati premier. Un cambiamento profondo della Costituzione materiale; dell’alternanza di governo fino ad allora bloccata dal “bipartitismo imperfetto” Dc-Pci, come teorizzò Giorgio Galli. Ha scongelato il sistema politico: una conquista civile, a pensare bene. Di cui anche la base, la costituency fruiva; dell’uno e dell’altro schieramento: cioè i cittadini. Gli italiani di destra e di sinistra. Non è poco. È tanto. Che abbiamo apprezzato meglio nell’era dei governi e dei premier senza demos, da Monti a Draghi.

L’omaggio di Gianfranco Fini

Del berlusconismo – costume, imprenditoria, televisione, comunicazione, pubblicità, cinema, sport – si scriverà ancora tanto. A me è piaciuta la dichiarazione di Gianfranco Fini, dell’uomo “che fai mi cacci” di tredici anni fa: “Nell’ora della sua dolorosa scomparsa desidero rendergli omaggio ricordandone la grande umanità”. Si chiude così una un’appendice della Seconda Repubblica. E anche la fiaba della “quasi immortalità” di Silvio a cui ci piaceva credere; la sua dipartita sarebbe arrivata più avanti, sempre in un “dopo” rispetto al nostro presente: credevamo così. Ora, nel suo per sempre andare, se ne va pure qualcosa di noi: la sua morte ci fa sentire tutti più mortali.

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