Bonaccini non si rassegna alla nomina di Figliuolo: tra lagne e pretese, ne fa una “questione personale”

29 Giu 2023 13:42 - di Carmelo Briguglio
Bonaccini

Al di là dei ludi cartacei e web sul nomen omen di Francesco Figliuolo, la designazione del generale, é scelta inappuntabile: Giorgia Meloni non ha sbagliato neppure stavolta una mossa decisiva. Il commissario all’emergenza in Emilia Romagna, Marche e Toscana, è una nomina che riscuote un consenso pressoché unanime. Dal “pressoché” va stanato il dissenso palese, ancorché coperto dalla foglia di fico del “pronti a collaborare”, di Stefano Bonaccini.

Bonaccini sulla nomina per la ricostruzione: il governatore ha perso l’equilibrio

Il governatore dell’Emilia Romagna ci aveva fatto un “pensierone” attraverso una tattica che passava per un’asserita “leale collaborazione” e un’iniziale empatìa con la premier. Spirito di cooperazione dalla stessa assecondato sull’onda emotiva del disastro che ha ferito soprattutto, anche se non esclusivamente, l’Emilia Romagna per la quale Meloni aveva speso parole di elogio come regione «locomotiva d’Italia che non può fermarsi». Bonaccini, adesso, ha perso l’equilibrio se fa titolare alla Stampa: “Figliuolo scelta di partito”; perché – spiega – «il governo confonde il piano istituzionale con quello di partito» e che «è parso che il problema fosse dire no all’Emilia Romagna».

Ricostruzione, Bonaccini ne fa una “questione personale”

Il governatore ne sta facendo una questione personale. Ora, non c’è regola più aurea per un politico – specie di lungo corso qual è Bonaccini – di astenersi da questioni alle quali si é interessati in prima persona. L’impressione è che il presidente del Partito democratico – leader degli iscritti dem: la Schlein è stata eletta grazie ai non iscritti – alla fine non abbia retto alle tensioni create dai sindaci dem, oltre che al proprio demone della gestione in house. E così abbia rotto l’argine dell’aplomb istituzionale, pur di fronte a una nomina che è neutra, di garanzia. Soprattutto di riconosciuta capacità, dimostrata sul campo in occasione della vaccinazione di massa dal Covid-19. Purtroppo, Bonaccini riteneva che l’unica persona al mondo che potesse ricoprire l’incarico di Commissario fosse lui stesso.

Cumulo d’incarichi e concezione proprietaria

Personalmente, credo invece che il presidente del Pd – in ragione di questo suo status che va illuminato a giorno – non poteva e non doveva essere investito di questa responsabilità. È inopportuno uno straordinario cumulo di incarichi di governatore, commissario alla ricostruzione e capo-partito: molti dimenticano che Bonaccini non è un semplice dirigente politico: è il numero due, anzi il numero 1 bis del principale partito di opposizione. Ciò a prescindere di chi fosse il prescelto che, nel caso di specie, è una figura di alto profilo qual è Figliuolo. La verità è che la confusione tra partito e istituzioni la fa Bonaccini per una ragione semplice: la sua regione è “sua”. E cioè “loro”.

Bonaccini non si rassegna alla logica dell’alternanza

La sinistra ha ancora forte questo concetto di “suità” di quella che un tempo era la regina delle “regioni rosse”. Quelle che – ormai resistono solo Emilia Romagna e Toscana – dalla loro istituzione ad oggi sono state governate dai progressisti, per lo più con un presidente comunista o post-comunista. Ciò che porta Bonaccini a ragionare così è un dato irregolare: la mancanza di alternanza alla guida della regione; per oltre 50 anni, non c’è stato ricambio. Ora, la scienza politica ci insegna che a caratterizzare il tasso di democrazia di un’istituzione non sono (soltanto) elezioni libere, ma soprattutto l’alternanza. Dove non c’è, la democrazia ha problemi di funzionamento. Ma è su quel retropensiero che Bonaccini, fondava la pretesa di fare il Commissario; in realtà è un’anomalia.

Il solito vizio e le anomalie della sinistra contemporanea

Un’anomalia che, presto o tardi, sarà travolta, com’è giusto che sia, dalla “secolarizzazione” elettorale che va affermandosi anche nei territori che un tempo erano amministrati ininterrottamente da giunte “rosse”: la mobilità elettorale e la vittoria “a turno” si vanno affermando ovunque e non risparmiano niente e nessuno. Ed è normale sia così. Purtroppo, la sinistra non si libera della doppiezza togliattiana, un carattere che é passato attraverso le evoluzioni delle “forme” politiche post-comuniste e fa parte tuttora sia del carattere che della cassetta degli attrezzi della gauche contemporanea.

Bonaccini recalcitra, ma i precedenti di commissari politici dem…

La domanda che si dovrebbe porre il presidente del Pd è come si sarebbe comportato lui, al posto della premier. Io credo di saperlo. I precedenti segnalano l’esistenza di un vero e proprio complesso: «Il senso del possesso che fu pre-alessandrino», canta Battiato. I precedenti di commissari “politici” del Pd, nominati da Renzi, Gentiloni e Conte, nei territori del sisma 2016 dell’Italia centrale Vasco Errani, Paola De Micheli e Giovanni Legnini, attestano questa idea. C’è bisogno di soffermarsi? Solo brevemente. Il caso di Giovanni Legnini é istruttivo; il governo giallorosso di Conte lo nomina commissario per la ricostruzione del terremoto 2016 in Italia centrale, dopo che ha perso le elezioni in Abruzzo come candidato presidente del centrosinistra. Nel 2020 viene nominato, lui che è capo dell’opposizione, per fare da contraltare al presidente eletto Marco Marsilio di FdI.

Ma la premier vola alto e nomina Figliuolo

Uno sgorbio oltre che uno sgarbo istituzionale: incommentabile. Ora, per seguire questi precedenti di segno opposto, il governo Meloni avrebbe potuto nominare commissario straordinario, faccio un esempio, il vice ministro Galeazzo Bignami. Come la sottosegretaria dem Paola De Micheli fu nominata da Gentiloni commissario alla ricostruzione nel 2016 e 2017: lei cumulò l’incarico di governo e quello di commissario. Invece, la premier vola alto e “fa” Figliuolo. Solo il presidente della regione Emilia-Romagna si é spinto a criticare una scelta di serietà e di equilibrio. Il che potrebbe essere legittimo, se l’alternativa propugnata non fosse lui stesso. Il quale, con questa morbosa idea proprietaria scrive una brutta pagina istituzionale e politica: una mortificazione dello spirito delle istituzioni. E del senso dello Stato.

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