Giustizia, Mirabelli: “La riforma è positiva: nessun bavaglio, più garanzie e sindaci più liberi”
Una riforma che risponde a criticità reali e che aumenta le garanzie per i cittadini. Dunque, una riforma da valutare “positivamente”. A sgombrare il campo da grida e allarmi intorno alla riforma della Giustizia è il costituzionalista Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta, che estende la sua promozione tanto al metodo quanto al merito introdotti dalla legge Nordio.
Mirabelli: “Valuto positivamente la riforma della giustizia”
Intervistato dal Messaggero, Mirabelli ha chiarito che la riforma della Giustizia “riconduce al dibattito parlamentare la discussione su temi che fino ad oggi sono stati nutriti da polemiche esterne tra avvocatura, magistratura, mondo politico e governo. Cioè riporta in Aula la definizione di quali reati punire. E questo – ha detto – a prescindere dal contenuto, è giusto nel metodo”. Anche per quanto riguarda il “contenuto” della riforma, però, il giudizio del presidente emerito della Consulta è favorevole. “Mi pare – ha chiarito – che l’iniziativa tenda a superare dal punto di vista del diritto penale sostanziale alcune delle criticità emerse sia per quanto riguarda l’abuso d’ufficio che il traffico di influenze. In primis perché l’abuso innominato di ufficio, cioè quello generico, è nato con il vizio di essere troppo ampio”. E “se il contenitore è troppo ampio in parte il reato diventa inutile e in parte – ha spiegato il giurista – inibisce l’amministrazione pubblica dal compiere delle scelte. Ed è paradossale perché l’amministrazione vive di discrezionalità.
Il costituzionalista difende la scelta sull’abuso d’ufficio
Quanto alle critiche sollevate dai detrattori della riforma, Mirabelli ha avvertito che “bisogna avere fiducia”. “La correttezza dell’amministrazione – ha detto – non può essere affidata solamente alla sanzione penale. Anche perché l’amministrazione ha di per sé un vincolo di correttezza, buon andamento e imparzialità. Sono principi costituzionali che vanno garantiti, e quindi bisogna avere fiducia. Vale a dire che l’amministratore deve poter fare delle scelte orientate ad un fine che, ovviamente e giustamente, è politico”.
La decisione sui collegi giudicanti è “sacrosanta”
Anche per quanto riguarda le obiezioni opposte alla riforma, per esempio, su collegi giudicanti e intercettazioni, Mirabelli ha chiarito non solo di non condividerle, ma di avere un giudizio opposto. Nel primo caso, infatti, ha spiegato che per lui si tratta di una scelta “sacrosanta perché viene messa in gioco un’immunità del cittadino. Dopo la vita e la salute ciò che è il bene maggiore è infatti la libertà. E allora non significa essere lassi o tolleranti nei confronti della criminalità ma garantire che la valutazione che viene fatta prima della condanna e quindi di chi è ancora presunto innocente sia il più corretta possibile. Il fatto che venga individuata da un collegio sono convinto sia una garanzia forte”.
Nessun bavaglio: “L’iniziativa legislativa distingue tra prove e chiacchiere”
Ugualmente, per quanto riguarda le intercettazioni, Mirabelli ha chiarito di non vedere alcun rischio bavaglio per la stampa. “L’iniziativa legislativa – ha ricordato Mirabelli – distingue le prove dalle chiacchiere. Il fatto che si possa ammettere e in processo e nelle attività preordinate al processo (perché è allora che avvengono le fughe di notizie) ciò che è necessario, che cioè costituisce argomento di prova, distinguendo da ciò che invece riguarda persone estranee al processo credo sia un buon passo in avanti. Per cui non ci vedo un bavaglio. Anzi – ha chiarito – direi che offre maggiori garanzie ai cittadini”.
Il giudizio sull’inappellabilità dell’assoluzione
L’unico aspetto su cui, nel colloquio con Francesco Malfetano, che firma l’intervista, il costituzionalista si dice “un po’ più esitante, anche se ne capisco le ragioni” resta dunque quello della costituzionalità dell’inappellabilità dell’assoluzione. “Se una sentenza di condanna deve basarsi su motivazioni che vadano oltre ogni ragionevole dubbio, è comprensibile – ha spiegato il presidente emerito della Corte costituzionale – che dopo una pronuncia il dubbio non dovrebbe permanere. Tuttavia, ad esempio, forse viene sottovalutato che potrebbero esserci novità dagli elementi probatori o l’iscrizione di nuove prove. Inoltre – ha concluso – mi chiedo se distinguere tra reati minori e maggiori, sia rispondente più ad un’economia processuale che ad un’esigenza reale di giustizia».