I figli del maresciallo Lombardo in Antimafia. Ecco tutti i misteri sulla morte del sottufficiale: dal proiettile alla lettera

14 Giu 2023 18:50 - di Roberto Frulli
FABIO_LOMBARDO, FIGLIO DEL MARESCIALLO ANTONINO LOMBARDO

Sono stati convocati dalla Commissione regionale antimafia all’Assemblea regionale siciliana, Fabio e Rossella Lombardo, i figli del maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo trovato senza vita nella sua auto la sera del 4 marzo 1995, nel cortile della Legione Carabinieri Sicilia, che, da quasi 30 anni si battono per “chiedere giustizia” sulla morte del padre, a loro avviso ucciso e non morto suicida come viene ufficialmente sostenuto.

I figli dell’ex-comandante della stazione dei carabinieri di Terrasini, poi transitato al Ros, dopo aver fatto riesumare il cadavere del maresciallo Antonino Lombardo chiedono ora che venga eseguita l’autopsia perché, supportati da alcuni consulenti, hanno riscontrato diversi aspetti che non collimano con lo scenario del suicidio.

In particolare il pool di consulenti di parte, a cui si sono rivolti i Lombardo, ha, infatti, “escluso, sulla base di accurata e motivata analisi scientifica, che il proiettile che ha ucciso il maresciallo possa essere stato esploso dall’arma in dotazione alla vittima“.
Non solo. “La consulenza grafologica, redatta da Valentina Pierro, criminologa e grafologa forense – scrivono i legali – afferma con fermezza che la lettera-testamento rinvenuta accanto al corpo di Lombardo non sarebbe stata scritta dalla mano dello stesso ma da altro soggetto che tentava di imitarne la scrittura“.

«Mi sono ucciso per non dare la soddisfazione a chi di competenza di farmi ammazzare e farmi passare per venduto e principalmente per non mettere in pericolo la vita di mia moglie e i miei figli che sono tutta la mia vita», c’era scritto nella lettera. E più avanti: “la chiave della mia delegittimazione sta nei viaggi americani”.

Qualche giorno prima di morire, Lombardo era stato al centro di un durissimo attacco sferrato, nel corso della trasmissione di Michele Santoro, “Anno zero“, da parte dei sindaci di Palermo e Terrasini dell’epoca, Leoluca Orlando e Manlio Mele, che lo avevano accusato di essere un pezzo delle istituzioni al servizio della mafia.

Quando fu trovato senza vita gli venne trovata accanto una lettera-testamento in cui avrebbe scritto che gli attacchi contro di lui sarebbero stati da ricollegare al contributo che aveva fornito, sottotraccia, alla cattura di Totò Riina, avvenuta due anni prima della morte del maresciallo, il 15 gennaio 1993.
Ma i figli hanno sempre sostenuto che la scrittura non fosse la sua, posizione confermata anche dai consulenti.

Sono molte e anche obiettivamente inspiegabili le stranezze in questa vicenda. Le richieste dei figli di Lombardo hanno sempre trovato un muro apparentemente invalicabile.

All’epoca non venne fatta alcuna autopsia sul cadavere del maresciallo Lombardo. Così, il 17 marzo, i figli del sottufficiale hanno presentato un’istanza con la quale chiedevano l’esumazione del cadavere del sottufficiale e l’esame autoptico.

Ma la Procura di Palermo ha rigettato l’istanza difensiva ritenendola “allo stato non necessaria”, benché all’epoca dei fatti non solo non fosse stata eseguita alcuna autopsia sul cadavere del maresciallo Lombardo, ma – addirittura – neppure venne stato redatto alcun verbale di ispezione cadaverica. E i familiari (e nessun altro estraneo all’Arma) poterono “neppure visionare il corpo del proprio congiunto poiché – ricorda l’avvocato Salvatore Traina, legale di fiducia della famiglia – quando arrivarono in caserma trovarono il cadavere già nella bara, ripulito e rivestito con una divisa (non sua) frettolosamente reperita nei magazzini della Caserma, luogo del crimine“.

La vicenda ha poi avuto ulteriori strascichi collaterali quando, il 3 aprile 1997 il cognato di Lombardo, il tenente dei carabinieri Carmelo Canale, stretto collaboratore di Paolo Borsellino, poi processato ed assolto con l’accusa infamante di concorso esterno in associazione mafiosa, ascoltato in seduta segreta dalla Commissione Parlamentare Antimafia, sostenne la tesi dell’omicidio “voluto da menti raffinatissime”. E affermò che Badalamenti aveva espresso al maresciallo Lombardo la sua intenzione di tornare in Italia per smentire Buscetta sulle accuse ad Andreotti ma il suo ritorno sarebbe stato impedito dalla Cia e dalla Procura di Palermo allora guidata da Gian Carlo Caselli.
A quel punto i pentiti Giovanni Brusca e Angelo Siino, interrogati dalla Procura di Palermo, accusarono Lombardo e lo stesso tenente Canale, di aver passato informazioni a Cosa nostra in cambio di denaro.

Ora il legale dei figli di Lombardo ribadisce poi ancora che “in diverse occasioni la Difesa della Persona Offesa ha cercato di esercitare le prerogative riconosciutele dall’art. 335 co.3 ter cpp, norma introdotta dalla recente riforma proprio al fine di assicurare alla persona offesa una partecipazione al procedimento che possa essere consapevole, informata e attiva, ma che tali tentativi hanno dovuto scontrarsi con il muro di silenzio ed indifferenza opposto, inspiegabilmente, dalla Procura“.

Tant’è che lo scorso 6 giugno, l’avvocato Traina scrisse ai vertici della magistratura: rappresentando “che sono già trascorsi 8 mesi dalla presentazione della denuncia”. La richiesta è stata indirizzata nuovamente al procuratore capo di Palermo, Maurizio de Lucia, al procuratore generale, Lia Sava ma anche al ministro della Giustizia, Carlo Nordio e al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, per chiedere, ancora una volta, di riesumare il corpo del sottufficiale. E di indagare “per omicidio e non più per istigazione al suicidio“.

 

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *