Il dopo-Cav. I gufi non si facciano illusioni sul futuro del centrodestra, FI non è di plastica

17 Giu 2023 11:35 - di Carmelo Briguglio
futuro del centrodestra

Il dopo-Berlusconi è un fatto politico rilevante quanto quello della scomparsa dell’uomo che ha guidato per quattro volte l’Italia. La politica che si divide anche sul lutto nazionale e i media che fanno la conta dei presenti in piazza per l’ultimo saluto “al Presidente”, quasi fosse un comizio o un corteo di partito, ci restituiscono uno scenario di contrapposizione sempre eguale a se stesso: da noi la morte estingue i reati, ma non l’inimicizia politica.

Progressisti senza pietas: il caso Bindi

Nella divaricazione tra Destra e Sinistra, come identità politiche, la pietas è in fuga dal campo progressista: domina lì un cattivo sentimento di maledizione oltre la vita e la morte, che l’antropologia catto-comunista di Rosy Bindi (non me l’aspettavo) interpreta: tra tanti impressiona particolarmente lei – allieva di Bachelet, vittima dell’odio politico – depositaria, più o meno consapevole, del seme sacro della violenza; agitatrice del “linciaggio fondatore” e dell’«ombra del capro espiatorio» nella nostra contemporaneità, descritte in modo magistrale da René Girard. Peccato, davvero, per il mondo progressista mosso dall’incredibile ricusazione di un granello di civiltà, alla quale i leader dell’opposizione, in competizione tra loro, non hanno voluto rinunciare. La mancata partecipazione alle esequie di Stato – presente il Presidente della Repubblica, symbolum di unità nazionale –
di Giuseppe Conte che è stato per due volte presidente del Consiglio e partner di Berlusconi nel governo Draghi, è apparsa l’evidenza più stonata. Seguito dalla condotta contraddittoria, anche in questa circostanza, di Elly Schlein – “fuori luogo” il suo volersi sostituire al governo al quale compete la proclamazione del lutto nazionale – alla quale va ricordato che il Pd è stato al governo col Cavaliere in ben quattro esecutivi: Monti, Letta, Gentiloni e Draghi; peraltro tutti presenti in chiesa. Ma tant’è.

La perdita del fondatore e il ruolo federatore di Giorgia Meloni

Sul piano dell’analisi, un primo dato riguarda il centrodestra: adesso è orfano del suo fondatore; non ha più un fondatore. Non è banalità: in questo ruolo Silvio Berlusconi aveva una sua unicità; non era surrogabile; neppure il consenso preso a regola del centrodestra per la premiership, toccava la speciale autorità di Berlusconi sull’alleanza. Come accade in tutte le cerimonie di commiato per un capo, in qualche modo la ritualità fa intravedere elementi di successione: è un modo per placare le ansie delle comunità dinanzi al fine vita dei leader carismatici nei fenomeni collettivi e nei movimenti sociali. In Duomo, a Milano, molti hanno visto in Giorgia Meloni, gesti – fatti e ricevuti – di successione “naturale”. Naturalmente, la presidente del Consiglio non può “succedere” nella funzione di fondatore; non può, perché l’atto di fondazione è legato alla persona: a “quella” persona. Ma, non c’è dubbio che per il centrodestra sia naturale guardare al capo del governo – del suo governo – come alla figura più forte, che può assicurare coesione e futuro alla coalizione e al suo mondo; che è ferito dalla perdita del suo inventore ed é attaccato dal Nemico, persino nelle ore del passo d’addio. Premier iniziatore no; ma federatore – che era l’altro attributo di cui Berlusconi amava fregiarsi – certamente sì: é naturale sia così.

Il berlusconismo che continua e il futuro del centrodestra

Berlusconi, però, era soprattutto il patron di Forza Italia. Cosa accadrà adesso nel partito? La domanda è su tutte le tastiere e in tutte le teste, politiche e non. A me pare normale che il successivo percorso di Forza Italia lo debba decidere Forza Italia. In ragione di un principio semplice: finita la storia, con la persona fisica del suo fondatore, la forza politica che egli ha lasciato ai suoi dirigenti, agli aderenti e soprattutto ai suoi elettori, dovrà trovare la sua strada verso un partito normale; non più “personale”, né a guida inimitabile: ha tutte le risorse per farlo. Forza Italia era un’idea di Berlusconi, una Minerva nata dalla testa di Giove-Silvio; ma non era soltanto la sua persona fisica, il suo corpo e basta, come spesso piace discettare e sfruculiare nell’informazione schierata. Ogni movimento che coincide con un “ismo” creato da una personalità carismatica – come il berlusconismo – cioè un fenomeno storico e culturale, oltre che politico, ha un abbrivio: può continuare a vivere di vita propria. Il fondatore è continuato dal patrimonio di idee, di proposta politica, di programma e di memoria che lascia. E dalla dirigenza che negli anni lo ha accompagnato e supportato, talvolta a fatica.

FI non è di plastica, ha classe dirigente di qualità

Ora, il partito azzurro ha una classe dirigente consistente ed esperta; di ministri, vice, sottosegretari; di parlamentari con più legislature, di uomini, donne e giovani che – per volontà e selezione dello stesso Cavaliere – hanno acquisito un cursus honorum notevole e di primo livello: al governo la rappresentano un ex presidente del Parlamento europeo – che garantisce il la continuità col Ppe – e una ex presidente del Senato – la prima donna a guidare Palazzo Madama – che sono esempio di una partecipazione politica di rango. E così i governatori di regioni importanti. Ma il partito vanta anche una classe politica di qualità che, in quasi un trentennio, si è formata sul territorio; in consigli e giunte di regioni, comuni, autonomie locali e talvolta funzionali: tra questi spiccano sindaci di città di tutto lo Stivale. È un patrimonio di umane risorse ed esperienze davvero notevole, per numero e radicamento sociale. Ma, in questo momento, vale di più per la ragione che è il ceto politico di FI più allenato alle pratiche di solidarietà tra alleati. Non nascondiamoci che, nell’ultimo decennio, il centrodestra italiano è andato in crisi più volte dinanzi alle scelte di governo; certo, con l’attenuante dei risultati elettorali che non hanno espresso una coalizione maggioritaria, costringendo pezzi di alleanza politica a scambiare la comune appartenenza, con la governabilità. Da qui i governi Monti, Letta, Gentiloni, Conte 1, Draghi, che hanno visto ora Forza Italia, ora la Lega partecipare agli esecutivi con propri ministri e FdI all’opposizione. Talvolta il centrodestra si è spaccato anche nelle competizioni per le città: il caso più clamoroso è stato quello di Roma nel 2016 che vide il successo della grillina Virginia Raggi. Ma, nella stragrande maggioranza dei casi, le forze dell’attuale maggioranza si sono presentati ai test locali, sempre compatte. Lo comprova il successo del centrodestra nelle recenti elezioni amministrative. In questo lungo periodo che ci separa dal primo governo Berlusconi (1994), si è così consolidato un ceto politico-territoriale che, per inclinazione e necessità, ha imparato a stare assieme; ora al governo, ora all’opposizione, in forza di un bipolarismo – il più importante lascito politico di Berlusconi – che si é diffuso anche nell’ amministrazione
decentrata.

Un centrodestra plurale, a più voci

È questo sostrato umano che smentisce la tesi della sinistra: FI non era e non è un partito di plastica; ha un corpo vivo e reale, chiamato a succedere a quello unico della “guida suprema” che non c’è e non ci sarà mai più; ma che continuerà nel ricordo – rinverdito con lo scandire di ricorrenze e anniversari – dalla sua comunità politica e dalla famiglia. Ci si risparmi l’ipocrisia di discettare di anomalie legate allo stretto rapporto tra famiglia e movimento politico. Vedremo quali saranno le scelte che i Berlusconi faranno a sostegno del partito creato dal padre. Ci sono tanti esempi nella storia del Novecento e nella nostra modernità che tracciano modelli e percorsi di commistione: il peronismo, il gollismo, il castrismo, il kennedysmo, il gandhismo; ma anche le saghe dei Le Pen o dei Clinton. E la stessa Italia ha tradizioni e pratiche di una classe dirigente nel suo complesso – da quella parlamentare, al segmento accademico, a quello dell’impresa, fino al giornalismo e al cinema – “ereditario” o a cooptazione dinastica o familistica. Anche a sinistra, per dirla tutta. Non fingiamo di non conoscere questo aspetto del nostro carattere nazionale. Forse il dopo-Berlusconi partirà da questo crocevia di classe dirigente consolidata e di berlusconismo che vuole continuare. Vedremo. Intanto, mi sembra azzardato il rilancio dell’idea di partito unico del centrodestra. L’esperienza del Pdl è ancora troppo vicina perché non sia di monito; e di dissuasione. Un centrodestra plurale, a più voci, fatto di profili distinti e culture politiche differenti, é invece, il modello da conservare. In fondo è il modello che oggi guida la Nazione: il centrodestra adesso pensi soltanto a guidarla bene e a lungo; in intima e operosa armonia.
Ps: i fiori in chiesa di Giorgia Meloni per Flavia Franzoni, moglie di Romano Prodi, e le parole nobili del viceministro Bignami, presente ai funerali, sono segni di rispetto e di civiltà: non tutto è perduto.

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