L’eredità politica di Berlusconi è una coalizione di “destra-centro” oggi in gran forma
La morte di Silvio Berlusconi non rappresenta solo il classico pezzo di storia che se ne va, ma è molto di più: è lo spartiacque tra un prima e un dopo. E dicendo questo siamo scontati fino al banale, se solo si considera che nella sua intensissima e poliedrica vita Berlusconi è stato tante cose assieme, ma tutte accomunate dal segno del precursore. Che si trattasse di edilizia o di televisione, di calcio come di politica, il Cavaliere è stato sempre in anticipo sui tempi. Un vizio degli innovatori. E lui innovatore lo è stato sul serio, a dispetto di chi in questi anni ha tentato di marchiare con lettere scarlatte il suo successo imprenditoriale. Ma sono guai che capitano a chi irrompe da parvenu tanto nei salotti del nostro capitalismo quanto nella selva oscura della politica.
Berlusconi e la «gioiosa macchina da guerra»
Costruttore di città-giardino quando l’ambiente era ancora un vezzo radical-chic e ideatore della tv commerciale quando il monopolio radiotelevisivo pubblico aveva ancora consistenza di roccia, al momento della sua «discesa in campo» Berlusconi era già l’imprenditore più popolare d’Italia. Certo, meno regale di Gianni Agnelli, ma più di questi incarnazione di quel miracolo italiano destinato a far da assordante sottofondo al suo impegno politico e al suo discorso pubblico: tutti proprietari e non tutti proletari, come invece rischiava di accadere se nel ’94 avesse vinto la «gioiosa macchina da guerra» nascosta sotto i baffoni progressisti di Achille Occhetto. Ricordate? Fu il primo scontro politico dell’Italia bipolare sorta dalle ceneri del manipulitismo milanese.
L’endorsement per Fini nel 1993
Mal gliene incolse. Non è un caso se da allora la vulgata mediatico-giudiziaria ricerchi in acque limacciose e infide le cause prime della «discesa in campo». In realtà, Berlusconi vi si decise per “supplenza” nei confronti di una nomenclatura – ivi compreso il Mariotto Segni ispiratore dei referendum elettorali che avevano seppellito la Prima Repubblica – riluttante a convertirsi al nuovo corso. Al contrario, lui aveva già capito tutto. E fu subito scandalo, evangelicamente opportuno e benefico: «Se votassi a Roma, sceglierei Fini». Clamoroso endorsement scandito a margine dell’inaugurazione di un centro commerciale a Casalecchio di Reno mentre per la poltrona di sindaco della Capitale duellavano due emergenti, Gianfranco Fini appunto, e Francesco Rutelli. I giornali tradussero il tutto come «Cavaliere nero» e «sdoganamento» della destra missina. In realtà, fu soprattutto il vagito, alto e squillante, del Ventennio berlusconiano.
Ha impresso il suo sigillo su un’epoca
Un Ventennio, a ben guardare, più leggendario che reale dal momento che da allora fino al 27 novembre del 2013, data in cui il Senato lo espulse dai propri ranghi a seguito della condanna definitiva per frode fiscale, di anni a Palazzo Chigi Berlusconi ne ha trascorso meno di dieci. Ma è suo il sigillo sull’epoca: il bipolarismo, il sondaggio, lo spot tv, il partito azienda, il conflitto d’interessi, la società civile, la cena del lunedì con gli alleati, e, più tardi, il contratto con gli italiani, i delfini spiaggiati, la diretta telefonica, l’esorcismo sulla sedia di Marco Travaglio, le fidanzate di papi, il cagnolino Dudù e, da ultimo, il non-matrimonio rappresentano altrettante pietre d’inciampo di un vissuto politico e di un immaginario collettivo destinati a resistere all’usura del tempo.
Berlusconi tra polvere e altare
E questo rende Berlusconi una sorta di Nosferatu, un mai veramente morto, almeno nella mente degli italiani. Nessuno, del resto, è stato più di lui un professionista della resurrezione, avendo alternato polvere e altare in un turbinio incessante di inchieste, processi, ribaltoni parlamentari, espiazione di pene alternative, malattie e operazioni a cuore aperto. Certo, ha avuto la soddisfazione di spirare insignito del laticlavio che gli fu strappato, ma è anche vero che nulla gli è stato risparmiato. In compenso, lascia in eredità un’Italia libera dalle gabbie ideologiche del ‘900, di cui è frutto prezioso la coalizione di destra-centro oggi in gran spolvero tanto a Roma quanto in periferia. A plastica smentita di chi, anche nel nostro mondo, sostiene che il Cavaliere ci ha dato molto, ma solo per toglierci tutto.