L’ultimo abbraccio a Silvio Berlusconi: una vita da combattente, un addio da vincitore

14 Giu 2023 16:40 - di Girolamo Fragalà

Alla fine quel che più conta è l’abbraccio del popolo e di coloro che hanno condiviso con lui decenni di battaglie politiche. Quel che conta è il rispetto degli avversari che hanno voluto essere presenti al Duomo, riconoscendogli meriti e capacità; contano le lacrime di tanti nel mondo dello sport e dello spettacolo; quelle bandiere del Monza e del Milan lì, a ricordare le sue passioni; il “grazie” dei tifosi. Silvio Berlusconi è uscito di scena così come ne era entrato, da protagonista. Questo nessuno può negarlo, neppure i suoi più implacabili “odiatori”: è stato protagonista della storia italiana per decenni, in campo politico, sportivo, televisivo, imprenditoriale.

Silvio Berlusconi se n’è andato da vincitore

Ha impedito – come sottolineato da Giorgia Meloni – che i post-comunisti prendessero il potere in Italia pochi anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che aveva sancito la fine del comunismo in Europa. Ed è questa, la colpa che la sinistra non gli ha mai perdonato. Ha prodotto il bipolarismo, ritagliandolo addirittura attorno a sé (con o contro di lui), ha dato una spallata al monopolio dell’informazione, rompendo il giocattolo televisivo che era stato sempre nelle mani dei soliti noti che si spartivano i canali Rai come se fossero al mercato. Troppo, fin troppo per chi immaginava di imporre il racconto della politica a proprio uso e consumo, illudendosi così di gestire il potere ad libitum. Perciò, nonostante il tentativo di demonizzarlo, Berlusconi se n’è andato da vincitore. Gli sconfitti sono gli “altri”, quelli che ancora oggi pensano di soddisfare le loro frustrazioni con l’odio postumo, con le polemiche persino sui funerali di Stato, con il veleno e il fango, riproponendo quelle stesse argomentazioni che sono state la loro condanna elettorale.

La forza di diventare “uno di famiglia”

Non hanno capito nemmeno adesso che la vittoria di Silvio Berlusconi è stata quella di essere “uno di famiglia” perché di lui si sapeva tutto. Avrebbe potuto chiudersi nel “castello dorato” e non far trapelare nulla di sé al di fuori della politica, così come legittimamente fanno in tanti. E invece no, di lui si sapeva tutto, dei figli e dei nipoti, degli amici con cui trascorreva i momenti di relax, delle storie matrimoniali, delle piante che aveva in villa, delle canzoni strimpellate con Apicella, delle barzellette, del passato da liceale, del suo stato di salute, luci, ombre, sorrisi, delusioni, scivoloni, risalite e chi più ne ha, più ne metta. Tutti elementi, questi, che gli avversari pensavano potessero ritorcersi contro di lui e che invece hanno contribuito a farlo entrare nel cuore della gente comune, tanto da considerarlo, appunto, “uno di famiglia”. E “uno di famiglia” va difeso. Da chi ha usato l’odio a mo’ di arma e  da chi continua ad usarlo, dimostrando pochezza e recitando lo stesso copione da anni. Ma nemo potest personam diu ferre, nessuno può portare a lungo una maschera. E molti, a sinistra, non hanno compreso che quando la maschera cade, si scivola nell’irrilevanza politica.

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