Orrore in Iran, giustiziato in piazza secondo la legge del taglione: l’ultima vittima di un codice ancestrale
In Iran è stata eseguita un’ultima condanna a morte. Quella di un ennesimo condannato – la cui identità non è stata rivelata – giustiziato in pubblico nel parco acquatico di Bandar-e Deylam, nella provincia del Khuzestan. E lì, nel cuore petrolifero dell’Iran a maggioranza araba, che si registra una morte che si perderebbe nella miriade di esecuzioni pubbliche di cui arriva ininterrottamente notizia dal fronte della guerra interna iraniana tra autorità locali e manifestanti. Ossia, nell’interminabile corpo a corpo scattato con la ritorsione istituzionale agita contro la marea umana scesa in piazza dopo la morte della giovane Sasha Amini. Se non fosse che, secondo quanto ha riferito e commentato Iran Human Rights (Ihr), la sentenza capitale inferta risponderebbe al principio giuridico della cosiddetta “legge del taglione“.
Orrore in Iran, un uomo condannato a morte e giustiziato in pubblico in un parco acquatico
Stavolta, infatti, la scarsità di informazioni sul caso non consente di dire con certezza se l’ultimo uomo giustiziato sia una vittima della dissidenza che ha trovato sponda nella solidarietà internazionale. Se sia uno dei tanti, il cui impegno si è infranto contro l’onda d’urto della giustizia iraniana. Insomma, non è chiaro se la vittima di oggi possa essere un ennesimo agnello sacrificale immolato sull’altare della repressione. Una mannaia usata da autorità e forze dell’ordine sulla folla che ha gremito le strade delle città iraniane. Oggi però, l’esecuzione dell’uomo in un parco acquatico, si giustificherebbe comunque in nome della «qisas»: la legge del taglione. O meglio, l’antico principio giuridico che sancisce il tristemente famoso “occhio per occhio, dente per dente”, scattato a seguito dell’omicidio di due poliziotti.
La vittima condannata a morte secondo la “legge del taglione”
A darne notizia hanno provveduto i media ufficiali della Repubblica islamica. Precisando che l’uomo è stato condannato a morte per «qisas»: ossia la legge del taglione – l’antico principio giuridico che sancisce il tristemente famoso “occhio per occhio, dente per dente”, per intenderci –. Una sentenza scattata per l’omicidio di due agenti. E così, all’orrore giustizialista delle esecuzioni sommarie di giovani militanti e studentesse, oggi si aggiunge anche il sacrificio umano di una ennesima vittima, condannata in virtù di un codice penale dai rimandi ancestrali. Un corpus normativo modellato sull’interpretazione sciita del Corano. In Iran infatti i reati di sangue sono normati dal concetto di “Qisas”: termine che in Occidente viene tradotto come «restituzione dello stesso tipo».
L’uomo giustiziato in pubblico condannato per la morte di due poliziotti
Oppure, come anticipato poco sopra, più colloquialmente “legge del taglione”. La famiglia della vittima può richiedere “qisas”, oppure può concedere il proprio “perdono”. A volte il perdono è gratuito. Quasi sempre però fa seguito ad un risarcimento, detto “diya”, che letteralmente significherebbe «prezzo del sangue». Ebbene, secondo Iran Human Rights (Ihr) – organizzazione con sede a Oslo che si batte contro la pena di morte in Iran – in quest’ultimo caso si tratterebbe della seconda condanna eseguita in pubblico nel 2023. E, specificatamente, dettata dalla legge del taglione.
La denuncia (e l’appello) dell’Iran Human Rights
Per questo il direttore di Ihr, Mahmood Amiry-Moghaddam, denunciando la vicenda e commentandola, ha dichiarato fermamente: «La comunità internazionale non deve tollerare punizioni medievali del genere nel 2023. I governi con relazioni diplomatiche con la Repubblica islamica, in particolare quelli coinvolti in negoziati, non devono chiudere un occhio davanti a questi crimini». Crimini che non sembrano avere fine. E che continuano a trovare sponda in codici e valori ancestrali…