Rai, Minoli lapidario: ma quale occupazione. La solita compagnia di giro non rappresenta più il Paese
«C’è una legge, la Renzi, che fa dipendere la Rai dal governo in carica: la si è applicata. Punto». Netto, coinciso e particolarmente pungente, Giovanni Minoli – storico volto di Mixer, il suo suo rotocalco d’attualità divenuto negli anni un programma cult, proprio di recente riproposto in tv – in un’intervista al Corriere della sera smonta dalle fondamenta la bagarre scatenata dalla sinistra sulle nuove nomine di Viale Mazzini.
Rai, Minoli: «Nessuna occupazione, è stata applicata la legge»
Dunque, come Santoro martedì nello studio di Floris, anche lui oggi, in particolare sul caso degli abbandoni di Fazio e Annunziata, rilancia: «Due signori professionisti che, per ragioni personali, se ne sono andati. Il primo aveva una trattativa in corso da mesi. La seconda va via perché non è d’accordo con questo governo: ma se è stata direttore di rete con qualsiasi governo e presidente Rai con Berlusconi premier! Faccio loro tanti auguri ma non li capisco».
Minoli come Santoro su Fazio e Annunziata
Non solo: a stretto giro, rispondendo a domande su egemonia culturale e editoriale dem, e di pluralismo in Rai, Minoli aggiunge caustico: «Ma è così. Finora la compagnia di giro è sempre stata la stessa: opinionisti che non so quanto davvero rappresentino il Paese, visti i risultati elettorali. Ora mi aspetto di vedere aria nuova: nuovi autori, nuovi programmi». Del resto, spiega e argomenta il giornalista, il pluralismo è riuscito a sopravvivere alla lottizzazione che negli anni ha adattato i suoi schemi.
Le nomine, Minoli: «Il governo sceglie l’ad che deve fare sintesi nel pluralismo»
E allora, asserisce il giornalista, se «nella Prima Repubblica era riconducibile a Dc, Pci, Psi. C’erano tre reti in concorrenza e ognuna gareggiava con i professionisti migliori: Biagi, Santoro, Lerner, Minoli. C’era pluralismo e qualità». Adesso, invece, «è cambiata la legge elettorale e questo ha avuto riflessi nel confronto politico e sulla Rai, dove la legge Renzi una cosa buona l’ha fatta: il governo sceglie l’ad che ha il compito di fare sintesi nel pluralismo».
«Basta coi pregiudizi»
La domanda che segue, è scontato, guarda all’oggi e al domani: «Vede pluralismo ora?». La risposta, anche in questo caso, è netta: «Perché no? Non è successo ancora niente. Ci sono un ad e un direttore generale, interni alla Rai, che devono far ripartire un’azienda immobile da tre anni, velocemente e bene. Con gli occhi puntati addosso e tanti pregiudizi. Gli stessi che gravano su Meloni che però li sta smontando tutti».
Plauso alla Meloni
Un plauso a premier e governo, quello che Minoli mette nero su bianco al Corriere della sera, che passa anche attraverso la conferma e la condivisione di quanto sostenuto dalla Meloni sulla Rai in materia di egemonie culturali e condizionamenti editoriali. Ossia: «Voglio liberare la cultura italiana da un intollerante sistema di potere, in cui non potevi lavorare se non ti dichiaravi di una certa parte politica».
«Mi aspetto aria nuova»
Una realtà condizionata e condizionante che Minoli conferma, sottolineandone i limiti e rilanciando con la speranza di una nuova Rai, con nuove aperture e prospettive future.