Di Matteo evoca la P2 e attacca il Governo. Parole gravi dal magistrato “smentito” sul generale Mori

14 Lug 2023 10:36 - di Mario Campanella

Se il dottor Nino Di Matteo, che è stato il magistrato più scortato d’Italia, avesse detto le parole apparse oggi su La Stampa a Parigi (non a Mosca o a Pyongyang), dove il potere giudiziario è sottoposto a quello esecutivo, non solo avrebbe ricevuto una censura ma sarebbe stato certamente oggetto di un procedimento disciplinare. Perché solo in Italia, diceva Leonardo Sciascia, è consentito a chiunque abbia la patente pirandelliana di lottatore della mafia di poter tranquillamente mascariare un altro potere costituzionale, di denigrare un partito politico democratico che vive del consenso popolare, di confondere quei poteri separati che dovrebbero essere garanzia di terzietà e di equilibrio. L’intervista del magistrato ha un incipit inquietante: “C’è un disegno unico nelle riforme che attuano il programma fondativo di Forza Italia e affondano le radici nel disegno della Loggia P2”. Se l’avesse detto oggi Scarpinato, che è diventato senatore dei cinquestelle, sarebbe stata una legittima per quanto non condivisibile critica politica. Pronunciate da un alto magistrato in servizio,  impegnato come requirente nella lotta al peggiore avversario della democrazia condivisa, quelle parole assumono un significato inquietante.

Il maxiprocesso fu un capolavoro di Falcone e Borsellino

Secondo Di Matteo, la riforma Nordio avrebbe gli obiettivi di “ridimensionare l’indipendenza della magistratura, controllarla direttamente e indirettamente. Questa è la posta. Il sistema di potere intende blindarsi, inattaccabile dal controllo di legalità”. Parole che pesano come pietre e che hanno un vizio genetico . Può un magistrato impegnato in un esercizio cosi importante, per quanto inquirente, esprimersi in questo modo nei confronti di una parte politica che rappresenta milioni di persone? Chi, militante nel centrodestra, si sentirebbe garantito dall’imparzialità di Di Matteo se sottoposto a un’inchiesta? Falcone e Borsellino, ma prima ancora Costa, Chinnici o Terranova, non scesero mai sul terreno dell’invasione politica, pur vivendo un contesto assai più difficile di quello attuale. La stessa cosa hanno fatto magistrati requirenti autorevoli e impegnati ancora più concretamente di Di Matteo nella lotta alle mafie come Gratteri o Bombardieri. Quest’ultimo, procuratore distrettuale a Reggio Calabria, nel circondario che ospita i fulcri vitali della mafia più potente del mondo, la ‘ndrangheta, parla solo con le inchieste. Come, per citare Cassese e Violante, dovrebbe fare ogni magistrato. Di Matteo dovrebbe ricordarsi delle parole di Fiammetta Borsellino al processo Stato-mafia e riflettere profondamente.

Ma anche la citazione del maxiprocesso, purtroppo assai frequente, è sbagliata. Fu proprio la Cassazione nel gennaio del 92 a riconoscere la grandezza e l’unicità giuridica di quella operazione, che non era una pesca a strascico ma un lavoro inquirente certosino e impeccabile. Fatto di prove e non di teoremi. Non a caso Maurizio Gasparri, che di Sicilia e di lotta alla mafia ne capisce, avendo sostanzialmente imposto il 41 bis e la sua reiterazione nel 94, ha detto che “Di Matteo è stato sconfitto clamorosamente nell’accusa persecutoria al Generale Mori e ad altri eroi della lotta alla Mafia che hanno arrestato Riina e gli altri e che per questo, invece di avere una medaglia, hanno subìto 20 anni di processi ingiustificati conclusi con un’assoluzione. Mi aspetto da Di Matteo un’intervista in cui si scusi. Vorrei un confronto ad Agorà con Di Matteo sul caso Mori e su Via D’Amelio”.

Il caso Sorbara

Certo, il principio universale della democrazia compiuta rende ognuno criticabile. Ma nei modi, nei tempi e con le forme che non portino a un dileggio .

Ma il passaggio più inquietante di tutti dell’intervista di Di Matteo è quello in cui dice “Ogni volta che si accerta un fatto, per esempio di contiguità mafiosa, la politica reagisce così, confondendo piani diversi. La responsabilità giuridica risponde al principio di non colpevolezza fino a sentenza definitiva; quella politica dovrebbe scattare a prescindere e prima, sulla base di fatti già conosciuti. Un approccio contraddittorio che di fatto abolisce la responsabilità politica”. Bisognerebbe chiedere una traduzione di tutto ciò a Marco Sorbara, un politico non di destra ma del Pd, valdostano, assolto dopo tre anni di custodia cautelare dall’infamante accusa di concorso esterno per mafia. Sorbara, forse questo Di Matteo non lo sa, aveva tentato il suicidio. Perchè Sorbara, innocente e incensurato, era già stato buttato fuori da tutto per quella indagine sbagliata e tremenda, per la quale nessuno gli pagherà i danni.

L’autonomia della magistratura è un cardine giuridico invalicabile. La sua onnipotenza, no. Il principio di garanzia e di presunzione di innocenza è scritto nella carta ma inattuato nei modi e nei costumi. Soprattutto, nella Costituzione c’è scritto che il potere legislativo appartiene al popolo e, attraverso esso, al Parlamento che ne è l’espressione diretta. Il revanscismo mostrato da Di Matteo rattrista, poiché lede quel vincolo storico scaturito da ciò che significa salvaguardare la “moglie di Cesare”. Anche l’apparenza nel dettame costituzionale è sostanza. E in quella Carta che tutti amiamo e rispettiamo la parola che più riecheggia si chiama libertà.

 

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *