Due anni per un’ernia del disco: le liste d’attesa nella sanità italiana allontanano il nord dal sud

8 Lug 2023 18:09 - di Lorenzo Peluso

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Qualcosa non va. Mancano i medici di famiglia e mancano i medici nelle corsie degli ospedali. Un problema serissimo che necessita di soluzioni immediate. Ma questo non basta perché ci sono altre “cattive abitudini”, definiamole così, che spesso vengono manifestate dai camici bianchi. E’ assodato ad esempio che nelle strutture pubbliche per una risonanza magnetica serve almeno un anno. Per una mammografia non bastano 720 giorni. Per un’ecografia 375 giorni, per una Tac e per un intervento cardiologico 365 giorni, poco più di quanto richiede una visita diabetologica (362 giorni) o un intervento ortopedico (360 giorni). Le liste d’attesa nella Sanità dividono in due l’Italia. Tra chi può permettersi di rivolgersi alle strutture private, e dunque non ha bisogno di fare alcuna fila, e chi invece non ha i mezzi per farlo. Tra chi vive in regioni (di solito al Nord) dove il servizio sanitario nazionale funziona meglio, e chi invece è residente nelle zone del Paese dove le condizioni degli ospedali sono vergognose. Eppure abbiamo una legge stringente sulle liste d’attesa. Il Servizio sanitario nazionale deve garantire una prestazione in 72 ore, se urgente; in 10 giorni se si tratta di un paziente in codice “breve; entro 30 giorni se l’esame è differibile; entro 120 giorni se è programmato. Ma non è così. Lo dicono i numeri e le statistiche.

Due anni per un intervento di ernia del disco. Sedici mesi per una visita psichiatrica. Quattordici mesi per una mammografia. Nove mesi per una risonanza magnetica e sei mesi per un controllo oncologico. Dunque cosa fare? La politica ha scelto, al fine di agevolare il recupero delle prestazioni, che le Regioni e Province Autonome possono coinvolgere le strutture private accreditate, integrando accordi e contratti esistenti, con la possibilità di destinare ai privati sino a un massimo di 150 milioni di euro sui complessivi 500 milioni di finanziamento.

Il Ministero della Salute riporta una stima complessiva a livello nazionale di committenza alle strutture private del 29%: in dettaglio, il 30% del finanziamento destinato ai ricoveri, il 13% di quello per gli screening e il 32% delle risorse allocate per le prestazioni ambulatoriali. Basta così? No. Perché se alla fine si è disposti ad effettuare indagini diagnostiche, analisi, visite specialistiche ecc. a studio privato, pagando di tasca propria, allora tutto cambia. Poche ore, in giornata addirittura, e si può effettuare la visita specialistica, esami, risonanze magnetiche visite oculistiche, oncologiche ecc.

Qualcosa non funziona. Se da un lato, per la medicina di base, la federazione dei medici di famiglia denuncia la mancanza di camici bianchi, dall’altro tanti medici smessi i panni del servizio pubblico, poi lavorano e guadagnano, e tanto anche, a studio privato. Eppure sono quei medici che alla fine si sono formati nelle strutture pubbliche, pagate con i soldi che noi versiamo con le tasse. Insomma, li abbiamo formati noi, per poi andarli a pagare a studio privato perché nel pubblico “ci sono le liste d’attesa£”. Comodo no? Nel dettaglio, va detto, che Fimmg nazionale, dati dell’Annuario Statistico italiano alla mano, osserva come la categoria dal 2008 al 2022 abbia perso il 13% degli effettivi, scendendo da 48.478 a 40.250. Con 6228 mmg in meno è saltato il rapporto ottimale di un medico ogni mille abitanti, già non rispettato 14 anni fa (era 1 ogni 1098), oggi c’è un medico di medicina generale ogni 1295 italiani.

Ma è “saltata” anche la continuità assistenziale: i medici convenzionati ad ore, dal 2008 – cioè da quando si parlava già di impiegarli di giorno in aiuto dei “pochi” mmg, e di farli entrare nelle aggregazioni di assistenza primaria -sono scesi da 17.350 a 10.344 unità: se 14 anni fa c’era un medico ogni 4 mila abitanti e rotti, e la proporzione aurea era 1 a 5 mila, ora ce n’è uno ogni poco meno di 6 mila abitanti. Dunque il cittadino, il paziente, è lasciato al suo destino anche sul fronte dell’assistenza di base. E’ chiaro quindi come necessariamente debba “correre” a studio privato, pagando. Tuttavia quel che indigna di più è l’atteggiamento che alcuni, certo non tutti, medici hanno nei confronti dei pazienti. Per non essere generici nel discorso, facciamo riferimento ad un’inchiesta penale in corso.

L’ipotesi su cui sta lavorando la procura di Roma, nelle ultime settimane, è che all’ospedale Oftalmico le liste d’attesa siano gestite con leggerezza dai medici. In alcuni casi i pazienti che usufruiscono di visite private verrebbero fatti passare avanti nelle agende degli appuntamenti per ricoveri e per le operazioni chirurgiche. L’Oftalmico è l’unica struttura pubblica nella Capitale che si occupa esclusivamente delle malattie dell’occhio. Questo è solo un esempio. Perché questo accade in molte strutture e per tutte o quasi le patologie. Ora, mi si dimostri il contrario. Qualcosa non va, no.

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