Giustizia, scende in campo Marina Berlusconi: «Perseguitano mio padre anche da morto»
«Ma la guerra dei trent’anni non doveva finire con Silvio Berlusconi?». La domanda, legittima e inquietante al tempo stesso, arriva dalla figlia Marina sotto forma di lettera aperta a Il Giornale. Era nell’aria tempo, ma si è materializzata solo al momento della morte del quattro volte premier. Ora è tempo di rispondere perché la «guerra» tra magistratura e politica è tuttora in corso, come dimostrano le iniziative ci certi pm che al Cavaliere danno la caccia anche da morto. La presidente di Fininvest parte da quella che definisce «l’accusa più delirante», la «mafiosità». A muovere Marina non è solo amor filiale, ma anche la necessità per l’Italia di uscire dallo scontro trentennale.
Marina Berlusconi scrive a Il Giornale
«Siamo incastrati in un gioco assurdo – si legge nella missiva al Giornale -, che ci costringe a un eterno ritorno alla casella di partenza». Ed è così, come dimostra la scelta dei pm fiorentini di iscrivere nuovamente Marcello Dell’Utri nel registro degli indagati per le stragi mafiose del 1993. Inutile rimarcare che il vero obiettivo dell’indagine è il fu Silvio Berlusconi. Apposta Marina presenta la sua iniziativa come una «testimonianza» e una «denuncia». «La persecuzione di cui mio padre è stato vittima – argomenta –, e che non ha il pudore di fermarsi nemmeno davanti alla sua scomparsa, credo contenga in sé molte delle patologie e delle aberrazioni da cui la nostra giustizia è afflitta».
«Falsi teoremi»
La più grave riguarda la tendenza di questa «sia pur piccola parte» di togati a trasformarsi «in casta intoccabile e soggetto politico, teso solo a infangare gli avversari, veri o presunti». Marina si riferisce a quegli inquirenti che procedono per teoremi e tesi prefabbricate, spesso «strampalati» e a questi «adattano la realtà dei fatti, anche stravolgendola, per dimostrare la fondatezza del teorema stesso». Che poi quelle accuse risultino vere o false, importa poco perché nel frattempo è la gogna mediatica ad aver già irrevocabilmente condannato l’indagato. Per Berlusconi (ma non solo per lui) è andata cosi tantissime volte. Ma ad indignare Marina è soprattutto l’«infamante» teorema che vuole suo padre in qualche modo connesso alle stragi del ’93. «È qualcosa di talmente enorme che fatico persino a scriverlo», sottolinea.
«Contro la mafia nessuno ha fatto più di mio padre»
Quindi, aggiunge: «Ma davvero qualcuno può credere che Silvio Berlusconi abbia ordinato a Cosa Nostra di scatenare morte e distruzione per agevolare la sua discesa in campo del gennaio 1994?». O, ancora, «che abbia costruito una delle principali imprese del Paese utilizzando capitali mafiosi?». E qui Marina non solo tratteggia la personalità del padre, immune da ogni istinto violento, ma ricorda come nessun governo più del suo «ha mai fatto tanto contro Cosa Nostra». L’obiettivo di questa persecuzione post-mortem non le sfugge: «La damnatio memoriae» del padre. Lei, ovviamente, non si rassegna. E conclude: «Abbiamo diritto a una giustizia che, come si legge nelle aule di tribunale, “sia uguale per tutti“. Per tutti, senza che siano certe Procure a decidere chi sì e chi no».