I cento anni della “Coscienza di Zeno” e il paradosso profetico di un capolavoro dimenticato
Quando uscirono le prime copie de La coscienza di Zeno, pubblicate a proprie spese, Italo Svevo non immaginava di avere scritto il più bel romanzo del novecento italiano, quarant’anni dopo insidiato per spessore drammatico ma non per metafora ironica dal Male oscuro di Berto. E cent’anni dopo, quell’aria di decadentismo affascinante, italiana ma asburgica, con Trieste allo sfondo, è ancora fortemente presente.
La città della nevrosi e della nascita italiana della psicanalisi, che certo non poteva che passare a poche centinaia di chilometri da Vienna. Del resto, Weiss, il primo didatta italiano, analista di Svevo e successivamente di Saba, era profondamente triestino. Viene rabbia a pensare come La Coscienza venga sottovalutata nelle scuole, ignorata e paradossalmente anche per questo salvaguardata.
L’eterna, ultima sigaretta e quel finale profetico
Rileggerla un secolo dopo significa identificarsi totalmente con Zeno Cosini. Con la sua borghesia maldestra, alimentata da un pater malus che anche Berto imiterà. Quello schiaffo di commiato dalla vita consegna a Zeno la predestinazione al fallimento. Sposa la donna sbagliata, anzi la sorella sbagliata, gestisce opacamente la sua bottega, si dispera per l’ennesima , ultima ma mai ultima sigaretta. Affronta la novità irruente della psicanalisi distinguendosi per una rassegnazione stanca. Di fatto anche la terapia è inutile perché non c’è nulla da curare. La nevrosi, motore invece cruente della poetica sabiana, è un pegno da pagare. Zeno è l’emblema del suo fallimento, l’antitesi dell’eroe dannunziano che albergava in quegli anni. Il finale de la Coscienza è ancora oggi un affresco incredibilmente duale. Da un lato la suggestione della catarsi implosiva, dall’altro la profezia esatta di ciò che sarebbe accaduto vent’anni dopo. In quella terra errante e vagante nei cieli, ormai priva di malattie, vive sospeso il paradosso della decadenza. E anche questo è un manifesto letterario, prodromo politico oggi troppo rimosso. In memoria di Zeno.