I “vecchi”che muoiono da soli e la cultura della società dello scarto. Elogio della senescenza

7 Lug 2023 14:26 - di Mario Campanella

La premessa è d’obbligo: quei vecchi morti nel fuoco erano trattati benissimo , con un senso umanitario considerevole. Ed è persino superfluo sottolineare come i vigili del fuoco, che sono un vanto nazionale, li abbiano soccorsi portandoseli sulle spalle , ma la tragedia di Milano lascia un vuoto enorme, perché gli anziani sono come bambini e se muoiono i bambini non c’è una logica ragionevole che consenta di comprenderlo. Le case di riposo o RSA sono una buona cosa. Hanno preso piede, le prime, sin dagli anni settanta, quando le mutazioni sociali hanno cambiato l’organizzazione delle famiglie. Soprattutto l’ingresso della donna nel mondo del lavoro portò a un cambiamento sostanziale. Prima gli anziani vivevano in famiglia, con i figli o al massimo vicino a loro. Poi, non c’era più posto per loro al punto che finanche Domenico Modugno ne trasse una celebre canzone proprio negli anni settanta. Nel frattempo la vita media è aumentata, tanto, e con essa purtroppo sono aumentate le demenze. L’Italia insieme al Giappone detiene il record di longevità ma non sempre questo significa arrivare lucidi alla terza o quarta età . E a volte, paradossalmente, è ancora più doloroso avere lucidità, se si vive da soli e si hanno patologie fisiche serie.

La cultura dello scarto

L’anzianità ha una sua sacralità che da tempo è scalfita ma soprattutto ha la bellezza del ricordo. Un genitore , lo stesso che ti ha amato e cresciuto in infanzia, non diventa “merce” ingombrante . È sempre quel papà che ti prendeva in braccio o quella mamma che sacrificava se stessa per renderti più dolce ogni giornata. Tante volte sarebbe possibile la convivenza con i figli ma un certo senso egoistico relega gli anziani nelle case di riposo. Come se tutto, appunto, fosse quella cultura di scarto di cui parla Papa Francesco. Qualsiasi genitore “ normale “ darebbe la sua vita per garantire serenità e bellezza ai figli. Tante volte proprio la capacità reddituale dei vecchi consente ai giovani di poter vivere. Eppure, siamo riusciti ad antropizzare gli animali ( per i quali organizziamo compleanni, fidanzamenti, e spendiamo cifre enormi) ma non riusciamo ad avere la stessa umanità con i vecchi. Forse perché non ubbidiscono , “sporcano” in casa se non controllano più gli istinti e non vivono al guinzaglio.

Da Cicerone a Baglioni, l’elogio della senilità

Fu Cicerone, con la famosa opera su Catone il vecchio, a descrivere filosoficamente il senso della vecchiaia. Lo fece parlando della decadenza fisica e anche della morte, di cui non aveva paura. Se rappresenta l’assenza, il suo pensiero, non può fare paura, mentre se porta a un mondo migliore non va affatto temuta.

La vecchiaia , un tempo saggezza e primazia, dominava il mondo dei giovani. Oggi che è inserita in una continua, inarrestabile senilità, ha perso autorevolezza. Sarebbe davvero bellissimo, come scriveva Claudio Baglioni in una celebre canzone, portare tutti i vecchi al mare. Prenderli in braccio tutti quanti. Come se tornassero quei bambini che erano. Almeno per un giorno . Farli volare e dire loro che seppure il tempo sia passato sono sempre gli stessi, genitori o zii, che accudivano le nostre lacrime. Ecco, sarebbe bello spenderla una lacrima. Per essere davvero umani e fragili una volta tanto.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *