Kundera e l’insostenibile leggerezza dell’essere: un po’ di Sartre e poco Nietzsche
Probabilmente se Antonello Venditti non ne avesse realizzato una famosa canzone (nel 1986, due anni dopo la pubblicazione) l’Insostenibile leggerezza dell’essere, l’opera più importante e significativa di Milan Kundera, non avrebbe avuto in Italia il successo popolare che poi ebbe, seppure accompagnato da un entusiasmo contagiante in tutta Europa, al punto da candidare più volte il suo autore al Nobel per la letteratura. Visto così quel romanzo audace che irrompeva sugli anni dell’edonismo rimane una narrazione certo affascinante ma prevalentemente parziale. Ciò che affascina è soprattutto il suo nichilismo, il volersi addentrare nell’esistenza , la compulsione sessuale del protagonista e con essa la ribellione sia a quel senso di oppressione derivante dalle sue radici comuniste, sia a un occidente altrettanto immobilizzante. Di fatto, però, ciò che di nuovo poteva rappresentare il romanzo era già stato scritto prima. E anche decisamente meglio. Non da Nietzsche, chiamato ingiustamente in causa da alcuni critici e citato nel libro con il famoso episodio dell’esordio sifilitico del bacio al cavallo, ma da Sartre.
L’esistenzialista francese e l’omaggio a Cèline
Nella Nausea , ma ancora di più ne Il Muro, tra i racconti del novello Erostrato e i tormenti di Luciano Fleurier, Sartre scarnifica l’esistenza . Nel suo capolavoro più conosciuto lo fa attraversando le gesta di un protagonista saturo di esistenza. Epperò proprio Sartre apre l’inno dell’esistenzialismo con un omaggio a Céline, volendo ricercare nella solitudine dell’esistenza una sorta di contrapposizione a quella materia che Kundera attribuisce perennemente al sesso. Il romanzo è un affresco anche del passaggio tra materia e materialismo, la condanna a una nevrosi irrisolvibile che aggancia l’uomo al suo vivere. È nichilista certamente ma mai nietzschiano.
Sempre Sartre, magistralmente, nel primo racconto del muro fa ridere senza sosta il terrorista basco Irrueta che riesce a salvarsi la vita inventandosi davanti alla polizia franchista un posto dove effettivamente saranno ritrovati alcuni suoi complici. L’esistenza è pesante ma anche inutile. E qui Kundera coglie l’obiettivo iscrivendosi involontariamente al nugolo di un decennio che sarà ricordato come la fine di ogni cosa, le idee, i valori e finanche alla fine il temuto comunismo. L’insostenibile leggerezza è più simile ad otto settimane e mezzo che a un vero e proprio capolavoro. Ma rappresenta comunque un passaggio importante degli anni ottanta. Con una inevitabile aria di fredda mediocrità.