La lezione del voto spagnolo per la destra italiana: concentrarsi sull’azione di governo

25 Lug 2023 11:27 - di Carmelo Briguglio

Il “così si fa” obbliga a fare un commento delle elezioni spagnole. Lo avrei volentieri evitato, se davvero esse non contenessero alcuni “avvisi” alla politica italiana e in particolare al centrodestra e alla destra politica. Vediamo. Il Pp è arrivato primo con il 33%, con oltre 13 punti percentuali in più rispetto al 2019. Il Psoe ha incassato il 31,7% dei voti, con 4 punti percentuali in più della scorsa tornata elettorale. Vox si è fermato al 12,39%, in calo rispetto al 15% del 2019, e Sumar ha incassato il 12,31% dei voti. I partiti indipendentisti catalani Erc e Junts hanno ottenuto 7 seggi ciascuno, EH Bildu 6 e il Partito nazionalista basco 5. Quindi popolari e Vox insieme non hanno raggiunto la maggioranza assoluta al Congresso dei deputati, pari a 176 seggi. In Senato, invece, il Pp può contare su una maggioranza assoluta di 143 scranni, contro i 92 dei socialisti: ma il Senato non è paritario e conta molto meno della Camera.
In termini assoluti, 8 milioni di elettori hanno votato per il Pp mentre il Psoe ha incassato 7,7 milioni di voti. Vox ha perso oltre 600mila voti rispetto al 2019, arrivando poco sopra i 3 milioni. Sumar ha ottenuto più di 3 milioni di voti.
Quindi, il Partito popolare spagnolo vince, ma non quanto pensava e sperava; intanto ruba il primo posto ai socialisti di Sanchez, i quali perdono il primato, ma subiscono una sconfitta minore di quanto gli avversari auspicavano ed essi stessi temevano. E Vox, il partito di destra radicale alleato di FdI, scende in percentuale elettorale e in numero di seggi. C’è poi la nuova coalizione, Semar, guidata dalla vicepremier Yolanda Diaz, in cui è confluito Podemos, che si attesta al quarto posto, dopo Vox che é terzo: ha fatto una buona pesca a strascico di tutti i voti progressisti possibili, alla sinistra del Psoe. Sarà difficile dare vita a un governo solido, ma stiamo a vedere.

Spagna e Italia sono ugualmente divise a metà

Ciò detto c’è una qualche rassomiglianza con l’Italia ? C’è qualche raffronto da fare ? Secondo me sì e più di uno. Il primo dato ci dice che la Spagna è, grosso modo, divisa a metà: da una parte un’area politica e culturale progressista e dall’altra una fascia di centrodestra, ambedue con varie tonalità. Attenzione perché, al netto del sistema elettorale che alle politiche dell’anno scorso, ha premiato il centrodestra italiano e in particolare Giorgia Meloni, anche le ultime rilevazioni fotografano da noi, una condizione simile. Il tema va ripreso, ma un cartello che mettesse insieme le forze progressiste, dal Pd ai Cinque Stelle, fino a Calenda e passando per Verdi e sinistra radicale, darebbe vita a un polo progressista – chiamatelo campo largo o come vi pare, ma ci sono anche i precedenti di Ulivo e Unione di Prodi – che è competitivo col centrodestra italiano. La profezia è facile e la metto qui a futura memoria: non crediate che, la prossima volta, “di là” commetteranno lo stesso errore di andare alle elezioni separati; i poveri di esperienza e di sguardo lungo, in avanti e in indietro, difficilmente lo comprendono: si credono predestinati a un’eternità di di vittorie, piuttosto che temporanei “mandati” del popolo a governare un ciclo, di norma non lungo, per poi cedere il posto all’avversario. Ciclicamente, appunto e non per inarrestabile progressione lineare, per buttarla in “cultura”, che ogni tanto aiuta a capire ciò che accade nell’acquario politico.

Vox è partito alleato ma con differenze da FdI

Ma torniamo alle elezioni-lezioni spagnole. Il secondo dato riguarda Vox. Voglio essere chiaro: si costruiscono affinità tra soggetti politici, con i materiali che si hanno; Giorgia Meloni è stata brava a costruire un fronte europeo “conservatore”, mettendo insieme partiti differenti, con percorsi distanti, anche non di poco. Un tema lungo e complesso da discutere. Limitiamoci intanto a dire che non esiste un’Internazionale di destra, perché le destre sono sempre “nazionali” e quindi per ciò stesso peculiari e “altre” tra loro stesse. Vox non é Fratelli d’Italia; ha delle comunanze, ma si porta addosso sensibili distinzioni dal partito della Meloni: radici storiche, leadership, progettualità; forma di Stato che distingue la Spagna monarchica dalla nostra Repubblica, nelle quali Vox e Fdi, rispettivamente operano. Direi, soprattutto, formazione ed “età”. FdI è figlio di Alleanza nazionale e nipote del Msi: é l’ultimo stadio contemporaneo della lunga storia della destra parlamentare italiana che inizia nel 1948; ove “parlamentare” è definizione sufficiente e istantanea per identificarla e delimitarla da altro. Alle sue spalle, quindi ha una lunghissima tradizione di democrazia praticata nelle istituzioni e una pluralità di stagioni di governo. E anche un “depositum” europeista: i leader che hanno preceduto Giorgia Meloni – Almirante, Rauti e Fini – sono stati eurodeputati; l’attuale presidente del Consiglio era stata ministro e prima vice-speaker della Camera: oggi è leader di un grande famiglia politica europea; molti attuali dei “suoi” sono stati al vertice delle istituzioni e componenti di passati esecutivi di centrodestra. E tanti hanno maturato esperienze nel governo del territorio, soprattutto in Alleanza nazionale: stagione importante caratterizzata da storicizzazione del passato, progettualità, cultura di governo; poi Fdi, partito nuovo, ha intrapreso una lunga marcia a più stadi: populista, sovranista, oggi conservatore: fino ad arrivare a Palazzo Chigi, un traguardo storico, oggi impensabile per l’alleato spagnolo. Vox è un partito troppo giovane e non ha avuto il tempo di compiere questo lungo processo di maturazione. Ha in sé molto “essere” e poco “divenire”, anche rispetto all’eredità post-franchista, per usare concetti più filosofici, ma che rendono l’idea. E non sembra avere, in atto, costituzione ed energie per competere alla pari, con i popolari.

Vox arretra, ma è giovane e vicinanza a Fdi l’aiuterà

Nel tempo si vedrà, ma così è. Il che spiega perché tra l’offerta più “radicale” di Santiago Abascal e quella più “mediana” di Alberto Feijóo, gli elettori abbiano preferito la seconda; e quindi perché Vox abbia dovuto segnare il passo con una sconfitta sul campo, arretrando in percentuale e in seggi: sconta il noviziato e una proposta politica meno conosciuta e soprattutto meno rassicurante rispetto a quella dei popolari; non può vantare cultura e prassi di governo significative. E’ normale sia così: tutte le nuove formazioni affrontano crisi nel processo di crescita. Ma la vicinanza alla premier italiana fa sicuramente bene al partito di Santiago Abascal: la destra di governo di Meloni costituisce un modello a cui Vox può avvicinarsi ancora, con un lavoro su se stesso; anche di “desdiabolización”. A partire dalle amministrazioni locali che sono un luogo privilegiato di formazione, di realpolitik, di alleanze sul campo, di mediazione, divrisposte e soluzioni ai problemi dei cittadini in un Paese caratterizzato da una consolidata tradizione autonomistica che passa per le 17 “comunità”regionali (oltre le due città) in cui si suddivide la Spagna; può, infine, dare un contributo significativo una visione di destra per il governo di Bruxelles: si vedrà dopo le elezioni europee dell’anno prossimo.

Concentrarsi sull’azione di governo

Oltre a divisione degli avversari e differenze con le comunità politiche affini, c’è un’ulteriore lezione per Fdi: mettere da parte beati trionfalismi, analisi ultra-ottimistiche e anche i sondaggi per concentrarsi nell’azione di governo, elevandone la qualità; e soprattutto ravvicinandone effetti concreti e tangibili. Il tempo c’è, ma non è infinito. Un’ovvietà che pesa nel rapporto con la gente. La quale vuole vedere e toccare cambiamenti e risultati. Alcuni ci sono già, ma come spesso accade cadono in oblio: valgano per tutti la conquistata sicurezza energetica e il taglio del cuneo fiscale. Per altri siamo alla vigilia o all’antivigilia: l’importante non si protraggano troppo. Gli elettori – ormai “mobili” da anni – non attendono Godot; non più.

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