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L’UniCamillus compie 5 anni. Il rettore: “Formiamo medici per i Paesi poveri. Agganciati al Piano Mattei”

Politica - di Mario Campanella - 25 Luglio 2023 - AGGIORNATO 25 Luglio 2023 alle 17:30

L’UniCamillus compie cinque anni. Ed è un quinquennio di successi per la prima facoltà di medicina romana aperta agli stranieri. Nata nonostante i dinieghi degli allora governi di centrosinistra e grazie a una vittoria giudiziaria al Consiglio di Stato, oggi è una certezza. E forma giovani che andranno ad esercitare le professioni sanitarie in giro per il mondo, soprattutto in Africa. Ne abbiamo parlato con Il Rettore, Gianni Profita.

Qual è il bilancio di UniCamillus ?

“UniCamillus ha iniziato le sue attività nel 2018. In soli 5 anni, la crescita è stata impetuosa. Siamo passati dalle prime cento matricole all’anno, alle attuali cinquecento, che ci pongono tra le Università mediche più numerose. Sul piano della qualità siamo molto entusiasti dell’ultimo Report di AlmaLaurea, il consorzio interuniversitario che valuta le performance di studio e gli sbocchi lavorativi dei laureati, che ha sancito come il 90% dei nostri laureati abbia ritenuto eccellente il livello di insegnamento, le strutture e la qualità della preparazione ricevuta e delle competenze acquisite. Inoltre, UniCamillus è cresciuta anche sul piano strutturale: dal primo edificio a oggi, l’Ateneo è diventato un vero e proprio Campus con 5 grandi e moderni fabbricati tra i quali ci sarà anche un Auditorium per ospitare eventi importanti”.

Una facoltà di medicina aperta agli studenti stranieri. Qual è stata la novità alla luce dei fatti?

“L’apertura agli studenti internazionali non è solo una manifestazione di intenti. Oggi siamo l’Università che nelle lauree sanitarie registra la più alta percentuale di studenti internazionali. Fin dalla sua nascita UniCamillus ha fatto della multiculturalità e dell’apertura al mondo il perno della sua missione: la comunità del sapere senza confini è quindi una dimensione che in UniCamillus si vive quotidianamente, in un caleidoscopico mosaico che arricchisce le nostre aule. Si tratta di studenti provenienti tanto da paesi industrializzati quanto da paesi in via di sviluppo. Per citarne solo alcuni: India, Stati Uniti, Israele, Turchia, Giappone, Nigeria, Haiti, Filippine. Ad oggi ben 64 paesi sono rappresentati nella nostra compagine studentesca”.

“I fatti dicono che, oltre a realizzare la nostra mission a favore dei Paesi nei quali la carenza di salute è grave, oggi molti nostri laureati in infermieristica, provenienti da Haiti, dall’India, dal Pakistan, sono ambitissimi da strutture sanitarie italiane, che hanno un bisogno disperato di infermieri. E questo anche in virtù del fatto che negli ultimi anni la vocazione dei giovani italiani nei confronti di infermieristica è andata sempre più scemando”.

Essere un Ateneo che forma medici anche per il Nordafrica può agganciarsi al piano Mattei del governo?

“Assolutamente sì. In questi giorni abbiamo inaugurato a Tripoli un Master in chirurgia di guerra per medici libici. In ogni caso, Permettere a giovani provenienti da paesi in via di sviluppo di venire qui a studiare e acquisire competenze che poi, se vorranno, potranno spendere per contribuire a migliorare le condizioni del proprio paese di origine, è un aspetto fondamentale della nostra missione. Non dimentichiamo che chi fugge dal proprio paese lo fa anche perché le condizioni sanitarie sono pessime. La politica estera dei nostri tempi più che con le cannoniere funziona se porta sviluppo e benessere”.

Qual è il rapporto con Il ministro Schillaci ?

“Al di là dell’amicizia personale, personalmente ho condiviso con lui molte iniziative come colleghi Rettori di Università del Lazio all’interno del relativo Comitato di coordinamento. Con Tor Vergata, che il Ministro ha guidato fino ad un anno fa, c’è un consolidato e pluriennale rapporto di collaborazione. Gli abbiamo appena dedicato la copertina del nostro Magazine al quale ha rilasciato una straordinaria intervista che evidenzia il comune sentire”.

Il governo ha già aumentato la dotazione dei posti per medicina. È un primo passo in avanti per colmare la carenza di medici?

“Sì, senza dubbio è un passo importante. Ma certamente non basta. Occorre motivare sempre di più i nostri straordinari professionisti della salute, altrimenti il rischio è che i nostri laureati vadano sempre di più a lavorare all’estero, rendendo vano l’aumento dei posti a Medicina. Paradossalmente finendo per formare, con risorse dei contribuenti italiani, valenti medici che poi vanno a risolvere le carenze del Regno Unito, della Svizzera, della Francia, ecc. Inoltre, va evidenziato che non mancano medici in generale, ma soprattutto medici di medicina d’urgenza e di famiglia. Vanno pertanto fatti altri sforzi per valorizzare le specializzazioni che oggi, spesso a ragione, sono poco ambite dai giovani”.

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di Mario Campanella - 25 Luglio 2023